Se c’è connessione tra lavoro e infezione, il virus contratto sul lavoro non è malattia ma infortunio
Sentiamo spesso cronache di storie di infortuni verificatisi sul posto di lavoro. Ma per la legge l’infortunio sul luogo di lavoro è quell’evento improvviso e violento che provochi la morte o l’inabilità, totale o parziale, del lavoratore. È inoltre necessario che l’evento che procura l’infortunio sia strettamente connesso al lavoro.
Ai lavoratori che hanno subito un infortunio che comporta l’astensione dal lavoro per più di 3 giorni, l’INAIL (Istituto Nazionale per l’assicurazione contro Infortuni sul Lavoro) eroga un’indennità.
Spesso il lavoratore vede corrispondersi anche un importo ulteriore, oltre all’indennità a carico dell’INAIL, in quanto il datore la integra con un importo di retribuzione determinato dal c.c.n.l. applicato al lavoratore.
Il coronavirus, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, se contratto sul lavoro è considerato infortunio e non malattia. Lo ha chiarito l’INAIL in una recente circolare.
Infatti, per gli operatori sanitari, medici ed infermieri, per via della loro professione e dell’alta esposizione al virus, contrarre il coronavirus è direttamente collegato al loro lavoro. Per questo motivo l’evento viene considerato un infortunio sul lavoro.
Lo stesso vale per altre categorie di lavoratori altamente esposti al rischio del contagio: si tratta di chi è a contatto con l’utenza, dei lavoratori addetti al front-office, alla cassa, alle vendite, dei banconisti e del personale non sanitario che però lavora all’interno dell’ospedale.
Per il resto dei lavoratori, al fine di poter qualificare il coronavirus come un infortunio occorso sul lavoro, dovrà essere dimostrata la connessione tra lavoro e infezione da coronavirus.