Che caratteristiche devono avere i potenziali controlli? E quali sono vietati?
Lo smart workingÈ una nuova modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, introdotta dalla l. 81/2017 e caratterizzata dall’assenza di precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro per il dipendente. More o lavoro agile (disciplinato in Italia dalla legge 81/2017) rappresenta, come ormai tutti sappiamo, una modalità particolare di esecuzione della prestazione di lavoro subordinato, che ha avuto un forte rilancio nel periodo emergenziale Covid-19.
Il lavoro agile, svolto dai dipendenti a distanza, solitamente con dispositivi informatici forniti dal datore di lavoro, senza vincoli di orario o di luogo di lavoro, comporta evidenti vantaggi sia per i lavoratori che per i datori di lavoro. Gli smart worker, infatti, con l’attuazione di fatto del distanziamento sociale, ne beneficiano in termini di salute e di flessibilità nella gestione del tempo e dello spazio di lavoro; per i datori di lavoro (aziende o pubbliche amministrazioni) il lavoro agile permette di mantenere intatta, per quanto possibile, la produttività aziendale.
Strettamente connesso al lavoro agile, basato sulla fiducia nei confronti del dipendente, è il tema del controllo che il datore di lavoro potrà legittimamente e opportunamente esercitare, da un lato, per verificare che l’adempimento a distanza da parte del lavoratore sia diligente e corretto, dall’altra, a tutela del dipendente medesimo. Infatti oltre a poter rilevare potenziali inadempimenti, il datore deve garantire il diritto alla disconnessione, verificando che la prestazione non si protragga oltre l’orario pattuito.
È opportuno che l’accordo individuale sullo smart working preveda in maniera dettagliata e compiuta le modalità di esercizio del potere di controllo del datore, la cui indicazione è obbligatoria ai sensi dell’art. 21 della legge n. 81/2017. Qualora al lavoratore non sia data adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e dei controlli, le relative risultanze non potranno essere utilizzate a fini disciplinari (art. 4, comma 3, legge n. 300/1970).
Così, è indispensabile che nell’accordo individuale, e comunque prima del controllo, sia chiarito che gli strumenti aziendali non possono essere usati per motivi personali perché potrebbero essere oggetto di indagini aziendali, e si definiscano anche (nell’accordo o con separato regolamento, portato a conoscenza del lavoratore) le condotte che potranno dare luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari (ad esempio precisando l’elenco dei siti vietati, il divieto di utilizzo personale della mail aziendale, etc.).
Se il datore di lavoro ha il fondato sospetto che il dipendente stia commettendo degli illeciti, può svolgere controlli mirati, anche a distanza, a patto che siano proporzionati e non invasivi.
I controlli devono riguardare solo ed esclusivamente i beni aziendali, ossia solitamente il PC fornito dal datore e la casella di posta aziendale, sui quali il lavoratore non può avere nessuna aspettativa di segretezza.
L’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori (legge 300/1970) vieta l’installazione e l’uso di apparecchiature tecnologiche e sistemi in grado di controllare a distanza lo svolgimento dell’attività lavorativa. Si considerano vietati anche i sistemi di rilevazione della posizione, compresi i software che monitorano in maniera costante l’uso che viene fatto di internet. Il ricorso a questi apparecchi può essere consentito solo in caso di preventivo accordo sindacale o di previa autorizzazione dall’Ispettorato territoriale del lavoro.
A queste condizioni, i dispositivi dai quali derivi anche un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori potranno essere utilizzati dal datore per esigenze di carattere organizzativo e produttivo, di sicurezza del lavoro e di tutela del patrimonio aziendale, costituito non solo dagli strumenti informatici assegnati al lavoratore, ma anche dai dati aziendali necessari per lo svolgimento della prestazione lavorativa.
Non è lecito invece che i datori di lavoro utilizzino i software aziendali, le webcam e le altre tecnologie digitali per capire se il lavoratore è collegato al suo computer, se si trova a casa o altrove, o per verificare quali siti internet sta visitando.
La procedura autorizzativa non va applicata all’utilizzo dei dispositivi che il datore di lavoro assegna ai propri dipendenti per lo svolgimento della prestazione lavorativa (computer portatili, tablet, smartphone, ecc.), oppure agli strumenti di rilevazione degli accessi e delle presenze: in questi casi, cioè, il datore di lavoro non ha l’obbligo di concludere un accordo sindacale o di ottenere l’autorizzazione amministrativa.
Inoltre, qualora vi siano esigenze aziendali di controllo, il datore di lavoro potrà utilizzare le informazioni raccolte tramite gli strumenti di lavoro per verificare la diligenza del dipendente nell’adempimento dei propri obblighi, con possibili conseguenze sul piano disciplinare. A questo riguardo, come si è detto, l’art. 4 dello Statuto prevede che il datore di lavoro consegni ai propri dipendenti le informative complete, contenenti non solo le regole di utilizzo degli strumenti concessi in dotazione, ma anche le modalità di effettuazione dei controlli da parte dell’azienda, nel rispetto della normativa dettata in materia di privacy.
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