Scopri le normative, i vincoli e i limiti legali per la registrazione di conversazioni telefoniche
Solitamente è vietato registrare conversazioni o telefonate con i propri colleghi o con il proprio capo: tale azione costituisce infatti una violazione della privacy del soggetto registrato ed è punibile con pesanti sanzioni penali.
Tuttavia, le registrazioni senza consenso sono ammesse in caso servano ad esercitare il diritto di difesa del lavoratore, ad esempio se un dipendente è vittima di ricatti da parte del proprio capo oppure se è obbligato a commettere gravi illeciti su ordine dei superiori.
Anche in questo caso bisognerà però fare attenzione, in quanto registrare tutte le telefonate senza distinzione non sarà comunque consentito.
Insomma: sebbene in certi casi registrare alcune conversazioni telefoniche possa essere consentito, un lavoratore con manie di persecuzione che registri qualsiasi incontro con i propri colleghi commetterà comunque un illecito.
A livello normativo, le telefonate rientrano tra i “dati” protetti dalla normativa sulla privacy, dato che includono i pensieri e le frasi di un’altra persona: la legge di riferimento in tal senso è il GDPR, ossia il Regolamento numero 679 del 2016 che tutela la privacy all’interno degli Stati membri e che richiede il consenso della persona per il trasferimento dei dati.
In altre parole, un soggetto potrà quindi utilizzare un video o una registrazione di una telefonata solo se la persona ripresa o registrata avrà manifestato il proprio consenso. In caso contrario, si tratterà generalmente di un utilizzo illecito.
In alcuni casi, tuttavia, la richiesta del consenso potrebbe effettivamente compromettere i diritti del soggetto, ad esempio per un lavoratore che cerchi di registrare una minaccia da parte del proprio superiore. Ma come si può agire in questi casi?
I giudici si sono spesso occupati della utilizzabilità delle registrazioni ottenute senza il consenso dell’altro interlocutore. Dai Tribunali fino alla Corte di Cassazione, è emerso spesso un pensiero secondo cui “la rigida previsione del consenso del titolare dei dati personali subisce deroghe ed eccezioni quando si tratti di far valere in giudizio il diritto di difesa”. Secondo la Cassazione, un tale utilizzo trae origine dalla “imprescindibile necessità di bilanciare le istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto dall’altra”.
Nonostante, come abbiamo detto, in alcuni casi sia effettivamente possibile registrare ed utilizzare le conversazioni anche senza il consenso dell’interessato, quali sono i limiti concreti da tenere in considerazione? La legge non indica espressamente vincoli e condizioni, ma è comunque possibile ricavare delle “regole generali” dalle passate pronunce di merito e legittimità.
Qualche esempio?
Il valore probatorio attribuito alle registrazioni è stabilito dall’articolo 2712 del codice civile, che stabilisce che: “Le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”.
In effetti, potrebbe capitare che la conversazione sia artefatta, oppure che la persona registrata sia un’altra, o che le frasi siano state estrapolate da un contesto diverso. Ma cosa può fare una persona contro la quale venga prodotta una registrazione fasulla? In questi casi sarà possibile contestare e disconoscere la registrazione, a condizione che il disconoscimento sia tempestivo e circostanziato.
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