Scopri i punti principali del nuovo decreto legislativo in materia di segnalazioni sul luogo di lavoro
Letteralmente, la parola whistleblowingil whistleblowing è la segnalazione del lavoratore dipendente che scopre una frode, un comportamento pericoloso o in qualsiasi modo contrario alle legge, ai danni dell’azienda stessa, dei colleghi o dei clienti. More è un’unione di “whistle”, fischio, e “blowing”, soffiare: da questa espressione deriva anche il termine “soffiata”, spesso utilizzato dai media per raccontare le vicende che riguardano informatori e collaboratori di giustizia.
La rilevanza del fenomeno ha portato all’approvazione di una nuova legge, in vigore da luglio 2023, che stabilisce le procedure da seguire per le aziende in caso di segnalazioni di illeciti da parte dei propri dipendenti e collaboratori e sancisce il diritto alla tutela e alla riservatezza per i segnalatori.
Già da diverso tempo, in Italia, era in vigore una normativa che disciplinava i casi di “whistleblowing” e stabiliva precise tutele per gli informatori.
Quest’anno, a seguito della Direttiva Comunitaria 2019/1937 sulla “protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione”, la normativa italiana è stata nuovamente aggiornata con l’approvazione del decreto legislativo numero 24/2023.
La nuova disciplina è già in vigore per le aziende più grandi, mentre dal 17 dicembre 2023 sarà obbligatoria anche per le società con almeno 50 dipendenti. Le realtà più piccole, invece, dovranno rispettare la nuova normativa solo se appartenenti ad alcuni settori specifici o se hanno adottato un modello organizzativo in base al decreto legislativo 231/2001.
La nuova legge in materia di whistleblowing stabilisce nel dettaglio gli ambiti per cui è possibile segnalare comportamenti, condotte o omissioni:
L’ultima categoria risulta particolarmente interessante: essendo potenzialmente molto ampia, lascia spazio a numerosi tipi di segnalazioni.
Di conseguenza, proprio per stabilire precisi “limiti” riguardo al suo ambito di applicazione, l’articolo 1, comma 2, lettera a esclude “le contestazioni, rivendicazioni o richieste legate ad un interesse di carattere personale della persona segnalante o della persona che ha sporto una denuncia all’autorità giudiziaria o contabile che attengono esclusivamente ai propri rapporti individuali di lavoro o di impiego pubblico […] con le figure gerarchicamente sovraordinate”.
Niente incontri segreti, lettere anonime o volti oscurati come accade nelle inchieste televisive: la normativa obbliga tutte le aziende a dotarsi di uno specifico canale di segnalazione, uno strumento che può essere gestito internamente oppure essere affidato a un ente esterno alla società.
Le modalità di segnalazione concrete (mail, portale dedicato o sportello), tuttavia, possono cambiare in base alle dimensioni e alle esigenze di ciascuna realtà aziendale.
Naturalmente, l’intero sistema può reggere solo se il segnalante viene tutelato da possibili ritorsioni da parte dell’azienda. A tal scopo, la nuova normativa introduce anche importanti difese per il “whistleblower”.
La prima novità riguarda il diritto alla riservatezza: il nome del segnalante potrà essere rivelato esclusivamente ai soggetti incaricati, al titolare del trattamento e al responsabile dei dati privacy e non potrà essere divulgato a terzi senza il consenso della persona interessata.
Il segnalante, inoltre, sarà tutelato da possibili ritorsioni da parte dell’azienda, qualsiasi forma esse possano assumere: licenziamento, demansionamento, trasferimento, mobbing e altri. In questi casi, la legge prevede l’inversione dell’onere della prova: spetterà all’azienda dimostrare che le decisioni “punitive” non siano state prese a causa (e a seguito) della segnalazione, della divulgazione pubblica o della denuncia all’autorità giudiziaria da parte del lavoratore.
Bisogna, tuttavia, fare una precisazione: la riservatezza riconosciuta al soggetto segnalante non può diventare un espediente per inoltrare segnalazioni infondate o, ancor peggio, diffamatorie e calunniose.
In questi casi, infatti, il soggetto segnalante perderà tutte le tutele previste: la norma stabilisce che “quando è accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale della persona segnalante per i reati di diffamazione o di calunnia […] le tutele […] non sono garantite e alla persona segnalante o denunciante è irrogata una sanzione disciplinare”.
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