Il Reddito di cittadinanza è stata una misura molto discussa. Abbiamo fatto fact checking su 5 affermazioni popolari su questo strumento di contrasto alla povertà
Il Reddito di Cittadinanza è stato ormai cancellato e sostituito dall’Assegno di inclusione (ADI), che ha caratteristiche diverse ed è destinato principalmente ai cosiddetti non “occupabili”, riducendo di molto la platea degli aventi diritto rispetto al Rdc.
Per anni, il Reddito di Cittadinanza è stato uno degli argomenti più discussi nel nostro Paese. Ha occupato il dibattito politico parlamentare, pranzi con i parenti, cena di lavoro, aperitivi post allenamento. Ha appassionato tutti da Nord a Sud, tra favorevoli e contrari, abrogazionisti, possibilisti e negazionisti.
Fu introdotto dal primo Governo Conte e, per i più curiosi, la fonte normativa è il decreto legislativo numero 4 del 2019, intitolato “Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni”.
Nonostante sia stato sospeso, il Reddito di Cittadinanza non è completamente uscito dal dibattito pubblico e sono molte le affermazioni che lo hanno riguardato al confine tra mito e realtà.
In questo articolo abbiamo fatto un fact-checking passando in rassegna le affermazioni più comuni su questa misura e verificando se si tratta di bufale, mezze verità o di dati confermati. Lo facciamo nel modo più semplice e corretto: testo normativo alla mano e dati ufficiali comunicati dagli organi competenti.
Innanzitutto ci occupiamo del numero di soggetti beneficiari. Non è vero che gli italiani che hanno ricevuto questo sussidio sono stati milioni. Per esempio, a dicembre 2022 il numero ufficiale di soggetti percettori è di 1.354.134 soggetti beneficiari.
Il dato è stato fornito dall’INPS ed è stato registrato nel report mensile “Osservatorio sul Reddito e Pensione di Cittadinanza”, facilmente consultabile sul sito ufficiale.
È un’affermazione falsa. Dal punto di vista normativo non è possibile che all’interno dello stesso nucleo familiare ci siano stati più soggetti beneficiari. La funzione dell’assegno era quella di garantire i mezzi di sostentamento al nucleo familiare inteso globalmente.
La finalità non era quella di pagare una somma a un determinato soggetto singolarmente, come invece avviene per la NASpI – indennità di disoccupazione.
Pertanto, la regola era un assegno per nucleo familiare, così come avviene oggi per l’Assegno di inclusione. Tant’è che la domanda presentata da un richiedente obbligava contestualmente tutti i componenti del nucleo familiare, che abbiano i requisiti, a rendersi immediatamente disponibili all’attività lavorativa.
Sempre secondo l’Osservatorio sul reddito di cittadinanza, il numero di soggetti che rientravano nei nuclei familiari beneficiari era di circa 3 milioni e mezzo. Ciò non toglie che vi possano essere situazioni di abuso, ma si trattava di condotte illecite e fraudolente.
La misura dell’assegno è un altro grande classico delle discussioni sul reddito. Facciamo chiarezza: l’importo base era di 780 euro al mese. Era un importo netto e che non concorreva alla formazione del reddito. Come visto in precedenza, questa somma doveva servire a sostenere l’intero nucleo familiare.
Non era un importo fisso, ma poteva aumentare o diminuire in base alle caratteristiche della famiglia. Nella propria relazione mensile, l’INPS dichiarò che l’ammontare dell’importo medio degli assegni era di 583 euro mensili.
Non era possibile lavorare in nero e continuare a percepire il reddito senza violare la legge: si trattava di un reato, sanzionato dall’ordinamento. L’articolo 7 del decreto legislativo 4/2019 puniva sia chi lavorava in nero sia chi forniva informazioni false o ometteva di riferire circostanze utili a14i fini della riduzione e/o perdita dell’assegno. Il trasgressore rischiava fino a sei anni di reclusione.
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