Reddito di cittadinanza: 5 miti da sfatare

Reddito di cittadinanza: 5 miti da sfatare
(foto Shutterstock)

Il Reddito di cittadinanza è una misura molto discussa. Abbiamo fatto fact checking su 5 affermazioni popolari su questo strumento di contrasto alla povertà

Il Reddito di Cittadinanza è uno degli argomenti più discussi nel nostro Paese. Occupa il dibattito politico parlamentare, pranzi con i parenti, cena di lavoro, aperitivi post allenamento. Appassiona tutti da Nord a Sud, tra favorevoli e contrari, abrogazionisti, possibilisti e negazionisti. 

È stato introdotto dal primo Governo Conte e, per i più curiosi, la fonte normativa è il decreto legislativo numero 4 del 2019, intitolato “Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni”.

Di recente lo strumento è tornato sulla bocca di tutti perché è stato modificato dalla Legge di Bilancio per il 2023, che ne ha ridotto la durata per i cosiddetti “soggetti occupabili” e ha previsto la perdita del beneficio anche in caso si rifiuti una sola proposta di lavoro. Inoltre, il Governo Meloni ha già annunciato di volerlo abrogare a partire dal 2024. 

In questo articolo abbiamo fatto un fact-checking passando in rassegna le affermazioni più comuni su questa misura e verificando se si tratta di bufale, mezze verità o di dati confermati. Lo facciamo nel modo più semplice e corretto: testo normativo alla mano e dati ufficiali comunicati dagli organi competenti.

“Milioni di italiani ricevono il reddito di cittadinanza”

Innanzitutto ci occupiamo del numero di soggetti beneficiari. Non è vero che gli italiani che ricevono questo sussidio sono milioni. In realtà, a dicembre 2022 il numero ufficiale di soggetti percettori è di 1.354.134 soggetti beneficiari

Il dato è fornito dall’INPS ed è riportato nel report mensile “Osservatorio sul Reddito e Pensione di Cittadinanza”, facilmente consultabile sul sito ufficiale.

“In quella famiglia tutti prendono l’assegno”

È un’affermazione falsa. Dal punto di vista normativo non è possibile che all’interno dello stesso nucleo familiare ci siano più soggetti beneficiari. La funzione dell’assegno è quella di garantire i mezzi di sostentamento al nucleo familiare inteso globalmente. 

La finalità non è quella di pagare una somma a un determinato soggetto singolarmente, come invece avviene per la NASpI – indennità di disoccupazione.

Pertanto, la regola è un assegno per nucleo familiare. Tant’è che la domanda presentata da un richiedente obbliga contestualmente tutti i componenti del nucleo familiare, che abbiano i requisiti, a rendersi immediatamente disponibili all’attività lavorativa. 

Sempre secondo l’Osservatorio sul reddito di cittadinanza, il numero di soggetti che rientrano nei nuclei familiari beneficiari è di circa 3 milioni e mezzo. Ciò non toglie che vi possano essere situazioni di abuso, ma si tratta di condotte illecite e fraudolente.

“Prende 1.000 euro di reddito di cittadinanza”

La misura dell’assegno è un altro grande classico delle discussioni sul reddito. Facciamo chiarezza: l’importo base è di 780 euro al mese. È un importo netto e che non concorre alla formazione del reddito. Come visto in precedenza, questa somma deve servire a sostenere l’intero nucleo familiare.

Non è un importo fisso, ma può aumentare o diminuire in base alle caratteristiche della famiglia. Nella propria relazione mensile, l’INPS ha dichiarato che l’ammontare dell’importo medio degli assegni è di 583 euro mensili.

“Lavorano in nero e prendono il reddito di cittadinanza” 

Non è possibile lavorare in nero e continuare a percepire il reddito senza violare la legge: si tratta di un reato, sanzionato dall’ordinamento. L’articolo 7 del decreto legislativo 4/2019 punisce sia chi lavora in nero sia chi fornisce informazioni false o omette di riferire circostanze utili ai fini della riduzione e/o perdita dell’assegno. Il trasgressore rischia fino a sei anni di reclusione.

“Prendono il reddito da anni” 

Per effetto delle modifiche introdotte dalla legge di bilancio per il 2023, la misura ha una durata più ristretta rispetto al passato. 

La normativa originaria, infatti, prevedeva la possibilità di rinnovare liberamente i 18 mesi di assegno nel caso in cui persistessero i requisiti legali. 

Dal 1 gennaio, invece, i soggetti abili a una attività lavorativa – i cosiddetti “occupabili” – possono ricevere massimo 7 mensilità e poi decadono dal diritto al reddito di cittadinanza.

 

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