Sono previste pesanti sanzioni per chi è beneficiario del reddito di cittadinanza e non denuncia di avere un rapporto di lavoro
Tempi duri per i «furbetti del reddito». Può costare caro trovare un’occupazione in nero e continuare a percepire il reddito di cittadinanza.
Con l’intensificarsi dei controlli sui beneficiari sono sempre più frequenti le pronunce giudiziali che condannano i «furbetti del reddito», ossia coloro che prestano attività lavorativa in nero in modo da non risultare occupati e continuare così a incassare ogni mese l’assegno del reddito.
Con una recente sentenza – la numero 25306 del 9 giugno 2022 – la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza che aveva in precedenza condannato a un anno e un mese di reclusione il percettore del reddito trovato a lavorare in nero.
Il reddito di cittadinanza è una misura di sostegno al reddito per soggetti privi di occupazione. È un beneficio economico a cui possono accedere i nuclei familiari con determinate caratteristiche e requisiti reddituali.
Al momento della presentazione della domanda, il soggetto richiedente deve dichiararsi immediatamente disponibile ad accettare incarichi lavorativi. L’obbligo riguarda non solo il richiedente, ma tutti i familiari maggiorenni.
Nelle intenzioni del legislatore, infatti, questo beneficio dovrebbe essere una misura temporanea di sostegno, in attesa che, attraverso i centri per l’impiego, si riesca a trovare un’occupazione al soggetto beneficiario dell’assegno.
La durata del sussidio, infatti, è di 18 mesi, prorogabili su istanza dell’interessato. Se durante questo periodo il beneficiario trova una qualsiasi occupazione, è obbligato a comunicare l’avvio dell’attività lavorativa.
Secondo l’art. 3 del decreto legislativo 4/2019 «l’avvio dell’attività di lavoro dipendente è comunque comunicato dal lavoratore all’INPS» tramite un CAF o accedendo alla propria posizione personale nel sito dell’Istituto.
Una delle truffe più diffuse è quella di trovare un’occupazione in nero. In questo modo l’INPS non si accorge che la persona ha un lavoro e quindi non revoca il beneficio, permettendo al beneficiario del sussidio di continuare a percepirlo.
Si tratta, tuttavia, di una condotta penalmente rilevante e punita severamente. L’art. 7 del decreto legge 4/2009 prevede che «l’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio entro i termini, è punita con la reclusione da uno a tre anni.»
Non solo. In seguito alla condanna definitiva (o al patteggiamento), c’è l’immediata revocaÈ l’atto con cui un soggetto (es. Tribunale) priva di effetti un provvedimento precedentemente emesso. More del beneficio con efficacia retroattiva e il beneficiario è obbligato a restituire quanto indebitamente percepito.
Inoltre, il soggetto deve aspettare dieci anni dalla condanna per presentare una nuova domanda.
La legge di bilancio 2022 ha intensificato i controlli sui percettori proprio al fine di evitare situazioni di abuso.
Un ruolo fondamentale di vigilanza è svolto dai Comuni, quale ente più vicino ai beneficiari e in possesso di numerose informazioni sul beneficiario e sul suo nucleo familiare.
Nel caso in cui il Comune individui un possibile abuso, è tenuto immediatamente a informare l’Inps.
Inoltre, con cadenza mensile, deve essere monitorato l’andamento del patto per l’inclusione, proprio al fine di verificare i risultati raggiunti e il rispetto degli impegni assunti nel progetto individuale. Anche questa è una misura di contrasto alle ipotesi di abuso del reddito.
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