Reddito di cittadinanza, reato penale per chi lavora in nero

Reddito di cittadinanza, reato penale per chi lavora in nero
(foto Shutterstock)

Sono previste pesanti sanzioni per chi è beneficiario del reddito di cittadinanza e non denuncia di avere un rapporto di lavoro

Tempi duri per i «furbetti del reddito». Può costare caro trovare un’occupazione in nero e continuare a percepire il reddito di cittadinanza.

Con l’intensificarsi dei controlli sui beneficiari sono sempre più frequenti le pronunce giudiziali che condannano i «furbetti del reddito», ossia coloro che prestano attività lavorativa in nero in modo da non risultare occupati e continuare così a incassare ogni mese l’assegno del reddito.

Con una recente sentenza – la numero 25306 del 9 giugno 2022 – la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza che aveva in precedenza condannato a un anno e un mese di reclusione il percettore del reddito trovato a lavorare in nero.

Si può lavorare con il reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza è una misura di sostegno al reddito per soggetti privi di occupazione. È un beneficio economico a cui possono accedere i nuclei familiari con determinate caratteristiche e requisiti reddituali.

 Al momento della presentazione della domanda, il soggetto richiedente deve dichiararsi immediatamente disponibile ad accettare incarichi lavorativi. L’obbligo riguarda non solo il richiedente, ma tutti i familiari maggiorenni.

Nelle intenzioni del legislatore, infatti, questo beneficio dovrebbe essere una misura temporanea di sostegno, in attesa che, attraverso i centri per l’impiego, si riesca a trovare un’occupazione al soggetto beneficiario dell’assegno.

La durata del sussidio, infatti, è di 18 mesi, prorogabili su istanza dell’interessato. Se durante questo periodo il beneficiario trova una qualsiasi occupazione, è obbligato a comunicare l’avvio dell’attività lavorativa.

Secondo l’art. 3 del decreto legislativo 4/2019 «l’avvio  dell’attività di lavoro dipendente è comunque comunicato dal lavoratore  all’INPS» tramite un CAF o accedendo alla propria posizione personale nel sito dell’Istituto.

 Qual è la sanzione se si lavora in nero?

Una delle truffe più diffuse è quella di trovare un’occupazione in nero. In questo modo l’INPS non si accorge che la persona ha un lavoro e quindi non revoca il beneficio, permettendo al beneficiario del sussidio di continuare a percepirlo.

Si tratta, tuttavia, di una condotta penalmente rilevante e punita severamente. L’art. 7 del decreto legge 4/2009 prevede che «l’omessa  comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o  della riduzione del beneficio entro i termini, è punita con la reclusione da uno a tre anni.» 

Non solo. In seguito alla condanna definitiva (o al patteggiamento), c’è l’immediata revoca del beneficio con efficacia retroattiva e il beneficiario è obbligato a restituire quanto indebitamente percepito.

Inoltre, il soggetto deve aspettare dieci anni dalla condanna per presentare una nuova domanda. 

I nuovi controlli sui beneficiari

La legge di bilancio 2022 ha intensificato i controlli sui percettori proprio al fine di evitare situazioni di abuso.

Un ruolo fondamentale di vigilanza è svolto dai Comuni, quale ente più vicino ai beneficiari e in possesso di numerose informazioni sul beneficiario e sul suo nucleo familiare.

Nel caso in cui il Comune individui un possibile abuso, è tenuto immediatamente a informare l’Inps.

Inoltre, con cadenza mensile, deve essere monitorato l’andamento del patto per l’inclusione, proprio al fine di verificare i risultati raggiunti e il rispetto degli impegni assunti nel progetto individuale. Anche questa è una misura di contrasto alle ipotesi di abuso del reddito.

 

 

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