Ognuno di noi può essere un leader gentile con le proprie azioni o decisioni. Condurre una leadership gentile non costa nulla e restituisce moltissimo
Quella che oggi chiamiamo elegantemente «leadership gentile» io l’ho imparata da mia nonna, che da bambino mi ha fatto anche da mamma. La sua cucina era sempre piena di pentole, per cucinare una pasta al sugo ne sporcava cinque, c’era spesso una gran confusione.
Ma quando veniva a casa il mio migliore amico, lei, incurante del trambusto e determinata nel rispettare i suoi principi, metteva in tavola un bel tovagliolo pulito per servire il suo miglior caffè. Non un semplice espresso: tirava fuori il servizio buono dalla credenza in soggiorno e serviva il caffè nella tazzina più bella, con la zuccheriera, biscottini, dolcetti e tutto quel che poteva offrire.
A me quasi dispiaceva, le dicevo «nonna, è solo Sandro». Ma lei non ne voleva sapere. E quello per me, anche una volta cresciuto, è rimasto il più limpido esempio di gentilezza, che significa prima di tutto mettere le persone a proprio agio, farle stare bene, farle sentire accolte.
E anche di leadership, perché nelle sue decisioni mia nonna era molto risoluta: con amore, riusciva a determinare un atto delicato, di gentilezza. E al contempo insegnava a me la curatela verso gli altri.
Molti anni dopo, mi trovavo a Seattle con Howard SchultzCeo di Starbucks dal 1987 al 2020 More e ci servirono un caffè in un enorme vassoio vuoto. Mi ritrovai a fissare la tazzina di espresso, nel mezzo di quel vuoto desolante. Non c’era un biscotto, un cioccolatino, un bicchier d’acqua. Nulla. Lui se ne accorse, mi chiese come mai fissavo il vassoio.
E gli raccontai di mia nonna. La gentilezza fa parte di noi, del nostro modo di essere, del nostro approccio verso gli altri. E non appartiene solo al manager o solo all’impiegato, perché la gentilezza è anche un punto d’incontro tra chi parla e chi ascolta. Se manca da una delle due parti, manca il dialogo.
Mi chiedo spesso come mai alle persone riesca così difficile mettersi nei panni dell’altro. Nella vita, anche solo nell’arco di una giornata, tutti noi ci troviamo ad essere sia operatori sia clienti. Siamo operatori quando vestiamo i panni da lavoro, ma siamo anche clienti, in continuazione.
Quando entriamo in un bar, in un negozio, ma anche quando prendiamo il tram o la metropolitana. Perfino quando guidiamo la nostra auto siamo clienti dello Stato, a cui paghiamo le tasse perché la strada sia mantenuta in ordine. E a tutti noi, da clienti, capita di trovarci alla cassa per pagare e avere di fronte una persona che nemmeno ci guarda.
Essere trattati così fa sentire meno di un numero. Perché, quando siamo dall’altra parte, non riusciamo a trasferire questa esperienza con la precisa volontà di offrire un servizio migliore?
La leadership gentile è proprio questo ed esiste da sempre. In tempi recenti abbiamo iniziato ad elaborare il concetto e a dargli un nome, ma non abbiamo creato nulla. Ognuno, in alcuni momenti, può essere leader di qualcosa. Di un’azione, di una decisione.
Ad una lamentela posso rispondere dicendo «mi spiace, non possiamo farci niente», oppure «ho capito, cosa posso fare per lei?». Magari non posso offrire al cliente quel che cerca, ma posso sempre dargli un consiglio.
Non costa niente. È gratis, come la gentilezza. E tutti ne abbiamo bisogno.