Entro il 2023 il mercato del noleggio online di abbigliamento varrà quasi 2 miliardi di dollari. Il nuovo stile di consumo sta entrando anche in Italia
Il fashion renting muove dal principio opposto a quello del fast fashion – che mette in vendita sul mercato prodotti economici e di tendenza, ad elevati ritmi produttivi e di rotazione in store, da usare idealmente il tempo di una stagione – ponendo invece al centro del proprio business il noleggio di abbigliamento e accessori di alta moda e di qualità.
Sull’onda della sua diffusione in Usa, Cina e Uk, e successiva espansione a livello globale, il fenomeno di mercato, secondo una ricerca di Allied Market Research, nel 2023 varrà quasi 2 miliardi di dollari solo nel canale online, con una crescita media annua del 10,6% tra il 2017 e il 2023.
«Con il fashion renting chiunque può realizzare il desiderio di indossare capi d’alta moda per un’occasione speciale – spiega Caterina Maestro, fondatrice del servizio di noleggio fashion DressYouCan, che ha commissionato a Espresso Communication una ricerca sul fenomeno – o semplicemente risolvere il quotidiano problema dell’outfit da ufficio, affidandosi completamente alle competenze di esperte fashion renter. Il noleggio di abiti rappresenta un asso nella manica per stupire con la propria eleganza nonché una perfetta soluzione per chi sogna un guardaroba illimitato che non alimenti sprechi e inquinamento. L’idea della nostra startup è l’esatto opposto della moda low cost: punta sulla qualità e rende l’abbigliamento di classe alla portata di tutti con prezzi accessibili e con un sistema di noleggio online e offline molto semplice che sta riscuotendo grande successo».
Secondo l’indagine – effettuata su oltre 30 testate internazionali dedicate a tendenze e attualità, con il coinvolgimento di docenti universitari e influencer per studiare i nuovi orientamenti degli italiani legati alla moda – i vantaggi del noleggio di abiti, accessori e scarpe per occasioni formali (ma non solo) come cerimonie, matrimoni, cocktail party e riunioni di lavoro sono diversi, vediamone alcuni.
Ogni anno la sola Unione Europea produce 16 milioni di tonnellate di rifiuti tessili e negli ultimi 15 anni, riporta El País, la vita dei capi si è abbassata del 36%, con un utilizzo medio inferiore alle 160 volte.
Sembra che andando avanti con i ritmi produttivi attuali, scrive The Guardian, entro il 2050 l’industria tessile sarà responsabile di un quarto del consumo del “carbon budget”, con un conseguente aumento della temperatura di due gradi.
Il noleggio può contribuire alla salvaguardia dell’ambiente attraverso la riduzione degli acquisti di moda low cost e degli sprechi.
Ad accompagnare i clienti nella scelta dei capi ci sono i “fashion renter”, che forniscono consigli da veri stylist ed eseguono anche piccole modifiche sartoriali per adattare gli abiti alla corporatura dei clienti.
Secondo il prof. Giovanni Maria Conti, docente di Storia e Scenari della Moda presso il Politecnico di Milano: «Il fashion renting rappresenta un nuovo modo di consumare soprattutto per Generazione Z e Millennial, i target più attenti alla sostenibilità. Da tre anni a questa parte il concetto di sharing si è allargato e andiamo verso un consumo che non è più originato dal possesso, ma dalla possibilità di poter utilizzare, anche solo per poche ore, un oggetto: probabilmente non è più il tempo di possedere, ma di potersi permettere un’esperienza».
Rispetto al passato quindi, sembra aver perso potenza l’era del culto dell’acquisto di beni materiali come vestiti, accessori o gioielli, quando lo shopping era ritenuto quasi uno strumento terapeutico, per lasciare spazio a forme di acquisto esperienziali come viaggi o concerti, dando avvio, secondo quanto riportato dalla CNBC, a una nuova experience economy.
Anche in Italia sta prendendo piede il fenomeno, sulla scia di esperienze estere di realtà come Rent The Runway nata nel 2009 e oggi valutata 1 miliardo di dollari, e startup come DressYouCan e DrexCode ne sono la prova.
«DressYouCan – si legge nel sito – combina i vantaggi della sharing economy, la praticità del pay-per-use e i principi della sustainability, anticipando il trend di evoluzione del possesso in fruizione efficiente».
«Lo spunto iniziale è stato quello di un grande armadio “delle amiche” virtuale, dal quale attingere quando i capi nel tuo guardaroba non bastano più – ha raccontato Caterina Maestro – ma poi il nostro modello di business si è evoluto in tre direzioni: la piattaforma sharing, sulla quale mettiamo capi di privati in “contonoleggio”; la vetrina dei capi, vintage o di stagione, che abbiamo acquistato noi e affittiamo; la vetrina per i marchi emergenti. Il costo del noleggio è calcolato sul prezzo retail del capo: è il 10-15%».
La clientela, continua Maestro, è «di fascia medio-alta» costituita da persone che «potrebbero tranquillamente permettersi l’abito ma fanno una scelta di consumo ben precisa». Le fasce di età vanno in media dai 25-29 anni ai 45-49 anni, ma a volte scende anche ai 18 anni per il noleggio di prodotti per eventi particolari come i diciottesimi.