Il controllo sul pc aziendale, per eliminare un virus contratto dall’utilizzo di internet per fini personali, è legittimo e può giustificare il licenziamento
Una lavoratrice ha impugnato il licenziamento ritenendo illegittimo il controllo effettuato sul computer dal datore di lavoro.
La dipendente, a seguito di un utilizzo ripetuto di internet durante l’orario di lavoro per fini personali, aveva compromesso il sistema informatico aziendale, attaccato da un virus.
È consentito un controllo sul pc dei lavoratori? E questo controllo può giustificare il licenziamento?
Tra i poteri riconosciuti al datore di lavoro rientra quello di vigilanza e/o controllo, per accertare il corretto svolgimento dell’attività lavorativa.
Il datore, però, incontra dei limiti e dei divieti nell’esercizio di questo potere.
Tra questi, non è consentito installare strumenti con lo scopo esclusivo di controllare a distanza l’attività lavorativa e altre condotte personali dei lavoratori.
L’installazione di impianti audiovisivi o di altri strumenti, da cui derivi anche il controllo a distanza dei lavoratori, è ammessa solo per determinate ragioni:
L’installazione di questi strumenti richiede o l’accordo sindacale o l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro competente per territorio.
L’accordo (o l’autorizzazione) non è, invece, necessario per installare gli strumenti usati dal lavoratore per lo svolgimento della prestazione lavorativa.
È importante ricordare che le informazioni raccolte, attraverso questi controlli, sono utilizzabili dal datore di lavoro per tutti i fini connessi al rapporto lavorativo.
La Corte d’AppelloÈ l’organo che, nel sistema giudiziario italiano, è competente a giudicare sulle impugnazioni delle sentenze pronunciate dal Tribunale. More di Roma ha ritenuto legittimo il controllo svolto dal datore di lavoro sul computer della dipendente, perché mosso da esigenze difensive (cosiddetti controlli difensivi).
Infatti il controllo era diretto all’eliminazione del virus informatico, e non ad accertare il comportamento della lavoratrice.
Inoltre la Corte ha ritenuto legittimo il licenziamento perché caratterizzato da giusta causa, in quanto l’intenzionale e frequente navigazione in internet per scopi personali è in grado di intaccare definitivamente la fiducia riposta dal datore di lavoro nel rapporto (Sentenza dell’11 marzo 2019).