La contestazione disciplinare è la comunicazione con cui inizia il procedimento disciplinare: cosa deve contenere, quali sono i diritti del lavoratore
“Ho ricevuto una lettera di richiamo” oppure “mi hanno dato la lettera di licenziamento”: sono due frasi che conosciamo bene, ma che spesso non sono corrette.
Infatti, nella maggior parte dei casi, quella che si riceve non è una comunicazione né di richiamo, né di licenziamento ma, molto più semplicemente, si tratta di una contestazione disciplinare. È la fase introduttiva, prevista dalla legge, con cui l’azienda deve iniziare obbligatoriamente il procedimento disciplinare nei confronti del dipendente.
La contestazione disciplinare, dunque, è una comunicazione scritta che formalizza le accuse mosse al lavoratore da parte dell’azienda. Oltre a mettere per iscritto tutte le colpe presunte, attraverso questo atto formale viene comunicato al dipendente che ha diritto di presentare le sue giustificazioni.
La contestazione disciplinare è regolata dallo Statuto dei Lavoratori. L’articolo 7 dice:
“Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa. Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato. In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale, non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa”.
Questa è una delle previsioni più importanti dell’intero diritto del lavoro e sancisce un principio fondamentale: l’azienda, prima di sanzionare un proprio dipendente, è obbligata ad avviare il procedimento disciplinare attraverso la formalizzazione della contestazione disciplinare.
La legge non indica il contenuto della contestazione disciplinare. Tuttavia, è possibile ricavarlo dalla finalità che questa comunicazione deve assolvere, ossia mettere il lavoratore in condizione di comprendere che cosa gli viene rimproverato e di presentare le proprie difese.
Ciò significa che non sono consentite contestazioni esplorative, generiche, capziose o suggestive.
Di contro, la contestazione deve essere contestualizzata e, soprattutto, specifica. La Corte di Cassazione ha di recente ribadito che “la contestazione dell’addebito, necessaria in funzione di tutte le sanzioni disciplinari ha lo scopo di consentire al lavoratore l’immediata difesa e, a tale fine, deve rivestire il carattere della specificità, che è integrato quando sono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari” (sentenza numero 11344 del 2023).
A tale scopo, sempre secondo la Cassazione, non è necessaria “l’osservanza di schemi prestabiliti e rigidi, purché siano fornite al lavoratore le indicazioni necessarie per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti addebitati”.
Come visto, la contestazione disciplinare serve a formalizzare i fatti addebitati al lavoratore e a permettergli di presentare le proprie giustificazioni.
La contestazione, infatti, deve ricordare al dipendente che ha diritto a presentare le sue difese e giustificazioni, personalmente o tramite un rappresentante sindacale.
Il lavoratore, dunque, ha due modi per difendersi:
In entrambi i casi, il dipendente può farsi assistere da un proprio sindacalista di fiducia.
Facciamo un esempio: un lavoratore viene sorpreso a rubare in azienda, colto in flagranza di reato e viene licenziato immediatamente, senza alcuna preventiva contestazione.
Ebbene, si tratta di un licenziamento illegittimo perché, in nessun caso, nemmeno in quelli più gravi, l’azienda può licenziare un proprio dipendente senza prima aver comunicato la contestazione disciplinare e aver consentito al lavoratore di presentare le proprie difese.
Il mancato rispetto del procedimento disciplinare comporta automaticamente l’illegittimità del licenziamento e il pagamento di un’indennità risarcitoria che, a seconda che il lavoratore sia stato assunto prima o dopo il 7 marzo 2015, varia da un minimo di una fino a ventiquattro mensilità, salvo che il Giudice non ritenga che tale vizio non integri in realtà l’insussistenza del fatto o la nullità del licenziamento.
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