Un dirigente d’azienda aveva chiesto al Tribunale di condannare la società di cui era dipendente, perché quest’ultima gli riconsegnasse l’auto aziendale.
Il mezzo gli era stato concesso come fringe benefitl’insieme dei vantaggi concessi dal datore di lavoro ai propri dipendenti come forma remunerativa complementare alla retribuzione principale (per es. auto a disposizione, borse di studio, viaggi premio, ecc.) More e, dopo circa due anni, gli era stato tolto perché l’utilizzo che ne aveva fatto era ad uso promiscuo, non conforme a quanto stabilito dalla lettera di assunzione.
L’automobile infatti veniva utilizzata dal dipendente non solo per l’attività lavorativa, ma anche per uso personale e familiare durante il weekend, in contrasto anche a quanto scritto nel regolamento aziendale.
Secondo il documento firmato dal dipendente al momento della consegna del mezzo, l’utilizzo dell’auto si intendeva a esclusivo uso aziendale.
Può l’azienda revocare unilateralmente la disponibilità dell’auto aziendale al dipendente?
L’auto aziendale viene spesso data al lavoratore a titolo di benefit, ossia come una concessione e un riconoscimento al lavoro del dipendente da parte dell’azienda.
La concessione dell’auto aziendale ha lo scopo di consentire al lavoratore di raggiungere un vantaggio economico, senza modificare il contratto di assunzione iniziale.
Può succedere però che l’azienda, ad un certo punto, decida di togliere la disponibilità dell’auto aziendale.
Per capire se questo comportamento del datore è legittimo, bisogna fare un’importante distinzione.
Se l’auto è concessa al lavoratore solo per uso lavorativo, e dunque ad esclusivo vantaggio dell’azienda, il benefit può essere revocato in ogni momento e senza il consenso del lavoratore.
Al contrario, se l’auto è concessa per uso promiscuo (la possibilità per i dipendenti di avere a disposizione un’automobile sia per uso privato sia per professionale, senza pagamento di alcun rimborso spese o indennizzo per utilizzo personale), il datore non potrà unilateralmente togliere tale beneficio al dipendente.
In questo caso, la revocaÈ l’atto con cui un soggetto (es. Tribunale) priva di effetti un provvedimento precedentemente emesso. More del mezzo senza consenso del lavoratore costituisce comportamento illegittimo da parte dell’azienda, che deve essere compensato con il riconoscimento di un’indennità.
La Cassazione ha stabilito, dopo aver verificato i documenti firmati dal dirigente al momento della consegna dell’auto aziendale, che non vi era nessun riferimento al possibile utilizzo promiscuo del mezzo.
Inoltre, il fatto che in busta paga non fossero state presenti trattenute di carattere fiscale e di altri costi relativi all’uso personale dell’autovettura evidenziava l’inesistenza dell’autorizzazione all’uso promiscuo dichiarato dal dipendente; con la conseguenza che l’assegnazione dell’auto era unicamente ad uso aziendale come dichiarato dalla società.
Il datore di lavoro poteva quindi revocare l’uso del mezzo in qualsiasi momento, senza preavviso, e senza diritto per il dipendente ad alcun indennizzo o monetizzazione sostitutiva.
Con queste motivazioni la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e condannato il lavoratore al pagamento delle spese processuali (ordinanza n. 32381/2019).
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