Se il talento è equamente distribuito tra uomini e donne, devono esserlo anche le opportunità per dimostrarlo e coltivarlo. Tre passi verso l’obiettivo
Seneca diceva che la fortuna non esiste. Esiste il momento in cui il talento incontra l’opportunità. Questo è sempre stato uno dei miei mantra. Sono nata in un paese sulla collina di Sanremo, meraviglioso ma non certo una metropoli ricca di opportunità.
E la mia è una famiglia di insegnanti, che mi hanno trasmesso l’amore prezioso per l’etica e la cultura. Una famiglia normale senza grandi network o frequentazioni altolocate che mi ha sempre spronato a lavorare sodo. Avevo grandi sogni e tanta voglia di provare a realizzarli. Quindi sono cresciuta credendo fortemente nel merito e nell’impegno.
Ecco perché, per me, la questione femminile non è di genere, ma di merito. Se, fino a prova contraria, il talento di cui parla Seneca è equamente distribuito tra uomini e donne, risulta evidente che non possiamo dire altrettanto delle opportunità.
Quello che possiamo e dobbiamo fare per favorire l’empowerment femminile, allora, è lavorare per permettere anche alle donne di dimostrare e mettere a frutto il proprio talento.
Come? I primi passi da muovere sono tre. Il primo è culturale e va compiuto in famiglia. È importante che si diffonda la consapevolezza che all’interno di una coppia entrambi i partner hanno lo stesso diritto di investire sulla propria carriera e questo implica, anche, una più equa suddivisione dei carichi familiari.
L’Istat ci dice che, in media, la famiglia italiana è ancora ben lontana da questo traguardo: la cura della casa, dei figli e degli anziani rimane per l’80% sulle spalle delle donne. Un secondo passo spetta alle istituzioni: se vogliamo permettere alle donne di lavorare allora servono asili, scuole a tempo pieno, servizi per le famiglie.
Infine, alle aziende spetta il compito di valorizzare la diversità, di genere e non solo, e lavorare per rimuovere i bias e i pregiudizi, selezionando e facendo crescere le persone solo in base al merito.
Non dimentichiamoci che la questione dell’empowerment femminile non è solo una questione etica, morale, di diritti, ma è anche una questione economica: se arrivassimo almeno ad un 60% di occupazione femminile guadagneremmo circa 7 punti percentuali di Pil.
Una crescita superiore a quella che ci aspettiamo dal PNRR. Riflettiamo sul contesto attuale: avevamo già la coda pandemica, si sono aggiunti l’inflazione, il costo delle materie prime salito alle stelle, la guerra. Ora più che mai, ogni Paese dovrebbe mettere in campo la squadra migliore.
E se il talento è equamente distribuito tra uomini e donne allora questa squadra non dovrebbe vedere solo il 5% di Amministratori Delegati donne o solo il 15% di Primari donne.
Quanto a noi, dobbiamo metterci del nostro: arrivare al vertice è dura per tutti, per le donne lo è indubbiamente di più. Ma questo non deve fermarci, deve renderci ancora più forti, più motivate, più determinate.
Dobbiamo avere fiducia in noi stesse rompendo il circolo vizioso che parte dal desiderio di perfezionismo e dalla scarsa autostima per portare al desiderio di approvazione e, se questa non arriva, alla rinuncia. Dobbiamo inseguire i nostri sogni con impegno e resilienza. La carriera non è uno sprint ma una maratona.
Come donne, non dobbiamo permettere a pregiudizi e stereotipi di definire chi siamo o chi vogliamo diventare.