Il divario di genere nuoce all’economia: necessaria inversione di marcia per la partecipazione femminile in istituzioni e imprese
L’Italia è al 114° posto per ciò che riguarda la partecipazione e opportunità economica femminile: a dirlo è il Gender Gap Report 2021 del World Economic Forum, un posizionamento poco confortante se si considera che l’ultima posizione è la 156, ed è occupata dall’Afghanistan.
Una condizione che, anche a livello economico, deve trovare un equilibrio: a pagare direttamente il prezzo del divario salariale di genere e della disoccupazione femminile sono le aziende, e le famiglie.
Tra il 2010 e il 2018, la presenza femminile nei consigli di amministrazione delle società quotate italiane è passata dal 7% al 36%, in linea con quanto previsto dalla legge Golfo-Mosca, che ha imposto alle quotate e alle partecipate pubbliche di avere CdA composti, per almeno un terzo, da donne.
La Consob ha dimostrato che le imprese con consigli di amministrazione in cui le donne siano almeno il 30% hanno performance economiche migliori. Allo stesso tempo, esiste la realtà delle PMI, molto presenti nel tessuto economico italiano.
In quelle del Nord Est attive nei settori del Made in Italy, i CdA hanno mediamente 4,25 componenti, di cui le amministratrici sono il 20%.
La quota sale al 25% nelle imprese che, nell’ultimo decennio, sono cresciute tra il 50% e il 99%, e si attesta al 23% in quelle che hanno almeno raddoppiato la dimensione.
Il Report Grant Thornton 2022 rileva la crescita della presenza femminile tra i senior manager, e segnala che per la prima volta la proporzione di donne tra i senior leader ha superato il 25%: la maggior presenza di donne in ruoli strategici si rifletterà sul miglioramento dei risultati aziendali.
L’imposizione, per legge, delle quote di genere ha portato benefici al sistema economico italiano, e ha contribuito a creare una consapevolezza collettiva, che si sta estendendo ad altri ambiti della società. Ma la strada per arrivare agli obiettivi dell’Agenda 2030 per la sostenibilità è ancora molto lunga e travagliata, e richiede il coinvolgimento della popolazione per mettere in atto un cambiamento culturale.
Alle donne in posizione di responsabilità si riconoscono maggiore cautela nel prendere rischi non adeguatamente valutati, un minor interesse per il potere, maggiore attitudine al cambiamento, all’inclusione e al benessere della comunità. Per misurare l’impatto della presenza femminile non basterà guardare ai soli bilanci, e chi fa impresa dovrà entrare nell’ordine di idee che la gender diversity è un’opportunità.
Il primo passo per contribuire alla trasformazione è inserire più donne nei Cda, dar loro maggior spazio in azienda, e sperimentarne le competenze e la capacità di esercitare la leadership.
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