Tra i principali “fringe benefit”, i buoni pasto sono un’importante agevolazione per il dipendente. Molti esercizi commerciali potrebbero tuttavia smettere di accettarli, come avvenuto mercoledì 15 giugno con uno sciopero nazionale a cui hanno aderito le principali associazioni di categoria del commercio e della distribuzione.
Organizzato da Ancd Conad, ANCC Coop, Federdistribuzione, FIEPeT-Confesercenti, Fida e Fipe-Confcommercio lo sciopero dei buoni pasto è arrivato dopo mesi e settimane roventi, raccogliendo una notevole adesione da parte degli esercenti italiani, con punte del 60-70% in alcune province. Il 15 giugno bar, ristoranti, alimentari, supermercati e ipermercati aderenti a questo ampio fronte di associazioni hanno rifiutato di accettarli.
«Un’azione drastica resasi necessaria per chiedere con urgenza al Governo una riforma radicale del sistema dei buoni pasto, con l’obiettivo di salvaguardare un servizio importante per milioni di lavoratori e renderlo economicamente sostenibile», hanno sottolineato le sigle promotrici della giornata di protesta.
D’altra parte, se si calcola che per ogni buono da 10 euro l’esercente ne incassa circa 8 – queste le stime fornite dai promotori – si capisce come la situazione sia potenzialmente esplosiva.
A spiegare nei dettagli quanto pesino sulle aziende le commissioni su questo importante bene accessorio per i lavoratori è il presidente di Federdistribuzione, che rappresenta le imprese della distribuzione moderna operanti in Italia nel settore alimentare e non alimentare.
“In Italia abbiamo commissioni non eque, le più alte d’Europa. Parliamo del 20% del valore nominale di ogni buono», afferma Alberto Frausin, «È un meccanismo influenzato enormemente dagli sconti ottenuti dalla Consip nelle gare indette con la logica del massimo ribasso.
Peccato che i risparmi che la centrale di acquisto pubblica riesce a ottenere nell’assegnazione dei lotti di buoni pasto siano sostanzialmente annullati dal credito d’imposta, che le società emettitrici ottengono a fronte della differenza Iva tra le aliquote applicate in vendita e in riscossione. A pagare il conto sono le nostre aziende”.
“Vogliamo che i buoni pasto, un servizio prezioso per milioni di lavoratori e famiglie, continuino a essere utilizzati anche in futuro, ma ciò sarà possibile solo sulla base di condizioni economiche ragionevoli e di una riforma radicale dell’attuale sistema, che riversa commissioni insostenibili sulle imprese e ne mette a rischio l’equilibrio economico”, rivendica Frausin.
Ad aggiungere prospettiva sulla questione è Fipe-Confcommercio, tra le associazioni leader nel settore dei pubblici esercizi, che rappresenta più di 300 mila aziende iscritte, 1 milione di addetti, per un valore aggiunto di oltre 40 miliardi di euro.
“Vogliamo sensibilizzare i consumatori sulle gravissime difficoltà che le nostre imprese vivono quotidianamente a causa delle elevate commissioni che dobbiamo pagare sui buoni pasto. In questo modo vogliamo salvaguardare la funzione del buono pasto: se si va avanti così sempre meno aziende saranno disposte ad accettarli e rischia di diventare inutilizzabile”, rimarca Aldo Mario Cursano, vicepresidente di Fipe-Confcommercio.
Che in una nota ufficiale ha lanciato un monito: “È solo l’inizio di una serie di iniziative che porteranno a non poter spendere più i buoni pasto, se non ci sarà una radicale inversione di tendenza già a partire dalla prossima gara Consip del valore di 1,2 miliardi di euro”.
Se le ragioni dello sciopero sono comprensibili e la risposta è stata notevole in termini di adesioni e visibilità, dall’altra parte della barricata è arrivato addirittura l’invito al boicottaggio delle attività commerciali.
Assoutenti, Adoc, Adiconsum e Federconsumatori sono state molto critiche nei confronti dell’iniziativa, pur riconoscendone le ragioni. Le associazioni di difesa dei consumatori hanno proposto un contro-sciopero, invitando a boicottare per tutto il 15 giugno bar, negozi, ristoranti e supermercati, anche anticipando o posticipando di un giorno la spesa.
«Ancora una volta i consumatori italiani vengono usati come ostaggi dalle organizzazioni della Gdo e dei ristoratori per rivendicazioni che, seppur giuste nella sostanza, finiscono per danneggiare solo e unicamente i cittadini», hanno accusato in una nota congiunta le quattro sigle.
Per cui è fondamentale avanzare dei distinguo, per non passare da fiancheggiatori dello status quo. “Se la protesta contro le condizioni svantaggiose dei buoni pasto è corretta nelle sue motivazioni”, hanno sottolineato Assoutenti, Adoc, Adiconsum e Federconsumatori, “il soggetto contro cui viene attuato lo sciopero, ossia i consumatori, è del tutto errato, perché saranno solo gli utenti a pagare il prezzo di tale iniziativa.
Non si capisce perché le organizzazioni della Gdo e degli esercenti non abbiano pensato a proteste contro Consip e Mef, unici responsabili delle condizioni imposte sui ticket per la spesa”
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