Ci sono aziende che si mostrano eco-friendly solo per una questione di marketing. Il greenwashing fa male all’ambiente
Si chiama ‘Greenwashing’, e si può definire come un ‘ambientalismo di facciata’ che non ha nulla a che vedere con azioni concrete a sostegno dell’ambiente ma, piuttosto, con una serie di operazioni di marketing che una parte di aziende utilizza per accrescere il proprio employer branding e migliorare la propria immagine. Peccato che gli enti preposti alle verifiche abbiano iniziato ad aumentare i controlli, sia nella quantità che nella qualità svelando, in molti casi, il vero volto di alcune imprese.
Non tutto ciò che è verde, necessariamente è anche ecologico. Una frase che riassume il significato del greenwashing, e di tutte le conseguenze che esso comporta. L’ambientalismo di facciata è, purtroppo, una pratica diffusa in tutto il mondo, e consiste in un fenomeno per cui aziende di grandi dimensioni fingono di adottare azioni e attività sostenibili mascherando, in realtà, gli effetti negativi che la loro filiera di produzione ha sull’ambiente.
Il greenwashing, in pratica, è una strategia di marketing volta a promuovere un’immagine sfalsata dell’azienda, con l’obiettivo di ampliare il bacino di consumatori. Peccato che questi ultimi siano sempre più attenti a ciò che acquistano e, dunque, anche più attenti a ciò che leggono e ascoltano dai media relativamente ai messaggi pubblicitari. In questo senso, internet è un mezzo di grande aiuto, perché i più diffidenti iniziano a cercare informazioni su un determinato prodotto, o sull’azienda che lo realizza, a volte scoprendo cosa si nasconda davvero dietro al messaggio pubblicitario dal sapore ambientalista.
Tra i casi di greenwashing, c’è quello che vede coinvolta una multinazionale del comparto petrolifero che, nel corso di una campagna pubblicitaria, ha promosso una fonte alternativa, successivamente rivelatasi addirittura più inquinante di quelle utilizzate nella sua attività. Ci sono stati, poi, diversi brand di acqua minerale che hanno utilizzato l’immagine della ‘bottiglia a impatto zero’, senza essere in grado di mantenere fede al messaggio, nei fatti.
A mettere un freno a questo fenomeno e aiutare i consumatori a difendersi da quello che ricorda, in tutto e per tutto, una vera e propria truffa, sono le autorità giudiziarie. A fare da apripista è il Tribunale di Gorizia, che ha emesso la prima ordinanza cautelare in Italia, e tra le prime in Europa: la sentenza si basa sul fatto che la sensibilità sul tema ambientale sia molto elevata, tanto che le informazioni sul tema possono influenzare il consumatore nella scelta dell’acquisto. Da qui, la necessità, in questo caso l’imposizione, a dare informazioni ecologiche che siano sempre più precise, circostanziate e soprattutto verificabili scientificamente.
Una sentenza che potrebbe costituire un precedente importante in quest’ambito, costringendo le aziende a fare attenzione nel dare messaggi pubblicitari che rischiano di essere fuorvianti, e non veritieri.
Tutelarsi dal greenwashing è possibile, e non così difficile, soprattutto considerando l’orientamento della Giustizia sul tema, in questo momento storico. Per non cadere nella trappola del finto ambientalismo, è utile prendere tutte le informazioni necessarie sui marchi sedicenti ambientalisti, verificare la correttezza e la veridicità delle certificazioni, e assumere un approccio critico rispetto a determinati messaggi. Quest’ultimo aspetto aiuterà a distinguere con una buona immediatezza i messaggi ecologici che rispondono alla realtà delle azioni messe in atto da un’azienda, da quelli vaghi e svianti.
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