Una forza lavoro multigenerazionale, quindi focalizzata non solo sui Millennials, è un valore aggiunto, ma va gestita in base alle diverse aspettative
Nel mercato del lavoro oggi convivono quattro generazioni: i cosiddetti Baby Boomer o Boomers (nati tra il 1946 e il 1960), i Gen X (nati tra il 1961 e il 1979), i Gen Y o Millennials (nati tra il 1980 e il 1996) e, in minor parte, i Gen Z o Centennials.
Generazioni cresciute in momenti storici e contesti sociali che attraversano quasi un secolo, a cavallo tra la fine del 1900 e gli anni 2000, con aspettative, valori, modi di lavorare e stili di apprendimento diversi, ma anche con dei tratti in comune.
Sui Millennials oggi aleggiano molti stereotipi e si focalizza l’attenzione della maggior parte delle aziende.
Per approfondirne la conoscenza in rapporto ai predecessori, Harvard Business Review ha effettuato una ricerca in Italia nel 2018, provando a capire cosa sia importante nel lavoro per tutte le generazioni, quali siano le loro aspettative e quanto esse siano o non siano soddisfatte. Il campione ha interessato 1600 persone (67% uomini), di cui il 61% Gen X, il 30% Millennial e il 9% Baby boomer.
I Millennials oggi hanno tra il 23 e i 39 anni, la loro adolescenza è stata segnata da eventi drammatici e imprevedibili come il terrorismo a New York, Madrid, Londra, Parigi, Istanbul, Nizza, Monaco, Berlino, Bruxelles, e da disastri naturali come l’uragano Katrina, i terremoti dell’Aquila, di Haiti e in Giappone.
Sono individualisti, non focalizzati, ambiziosi e liberi. Il loro punto di forza è essere multi-tasking e avere spirito critico. Sul lavoro per loro è importante l’individualismo. Nel 2020 rappresenteranno il 50% della forza lavoro.
Le loro aspettative sul lavoro sono più elevate rispetto alle altre generazioni in termini di contratto psicologicoÈ l’insieme delle aspettative reciproche tra una persona e l’organizzazione per cui lavora. Si creano sulla base delle promesse (implicite o esplicite) che ciascuna persona ritiene di aver ricevuto in sede di selezione e onboarding. More. I millennial sono più esigenti e ottimisti rispetto a ciò che un’azienda può dare loro, probabilmente a causa di un “effetto generazionale”, stima HBR, piuttosto che alla giovane età o alla mancanza di seniority.
I Millennial sono invece allineati ai colleghi più anziani, Gen X (e in parte ai Baby boomer), quanto all’importanza, tra le aspettative più alte, di sviluppo e formazione, e tra le più basse, alla possibilità di ricevere una retribuzione elevata.
Importanti anche, per tutte le generazioni: clima di lavoro, relazioni con capi e colleghi, significato e impatto del proprio lavoro. Senza contare, la sicurezza del posto di lavoro e ilwork life balance.
Rispetto a Gen X e Baby Boomer, i Millennial sono più impazienti e hanno una forte autostima, caratteristiche che li portano ad essere insoddisfatti di tempi e modalità di crescita professionale. Per cui risultano disattese le aspettative legate a carriera, formazione, sviluppo, potere e responsabilità.
I Gen X oggi sono nella fascia tra i 40 e i 58 anni, hanno vissuto l’adolescenza in anni più tranquilli rispetto ai Millennials, ma ambigui, caratterizzati da stagnazione economica, aumento del tasso di disoccupazione, crisi politica in Italia e tentate manovre fiscali, Tangentopoli e la Mafia, i disastri di Chernobyl e dello Space Shuttle Challenger.
Sono equilibrati, informali, divertenti e indipendenti. Il loro punto di forza nel lavoro è l’organizzazione e danno molta importanza al tempo.
Insieme ai Baby boomer, i Gen X sono la generazione più insoddisfatta rispetto a ciò che le organizzazioni possono dare loro. Ragion per cui l’indagine fa sorgere la domanda se non sia necessario che le imprese si sforzino di mantenere le promesse.
I Baby boomer invece, la generazione più ‘matura’, hanno tra i 59 e i 73 anni, sono cresciuti negli anni ’60 e ’70, periodo di malcontenti e battaglie.
L’assassinio di John e Robert Kennedy e Martin Luther King Jr., la Guerra Fredda, la Guerra del Vietnam, il Movimento dei diritti civili, le contestazioni studentesche, la rivoluzione culturale in Cina e lo sbarco sulla luna.
Sono ambiziosi, idealisti, competitivi e fedeli. Lo stacanovismo è ciò che li rende più forti sul lavoro e il successo è ciò a cui ambiscono.
La collaborazione di generazioni diverse può essere un valore aggiunto, ma sta alle organizzazioni la capacità di rivedere i processi HR e ripensare i ruoli manageriali.
Per non perdere i Millennials – più esigenti, ma anche più soddisfatti rispetto a ciò che ricevono dall’organizzazione – e la loro “energia positiva”, è necessario investire su formazione, sviluppo e opportunità di crescita. Sfatando il mito della loro “eccessiva mobilità lavorativa”, che porta le aziende a non investire sui dipendenti per paura che se ne vadano dopo poco tempo.
Per gestirli non sono necessarie pratiche HR rivoluzionarie, ma la capacità di ascoltare le persone e guidarle in percorsi di sviluppo.
Poiché i Millennials risultano essere i più delusi tra aspettative (più alte rispetto ai predecessori) e percezione della realtà, sta ai manager e alle HR gestire la loro impazienza e autostima definendo attese realistiche.
Non va dimenticato che Gen X e Baby Boomer ad oggi sono la parte di forza lavoro più ampia, ricoprendo la maggior parte dei ruoli manageriali, e saranno loro a “passare il testimone” ai successori. Le loro aspettative sono meno deluse semplicemente perché, considerando la seniority, non ne hanno più verso le aziende.
Per evitare ricadute negative, la ricerca invita le organizzazioni a spostare l’attenzione anche agli over 40.
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