Smart working e gender gap: il lavoro agile rischia di penalizzare il work life balance delle donne
Ben venga lo smart workingÈ una nuova modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, introdotta dalla l. 81/2017 e caratterizzata dall’assenza di precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro per il dipendente. More, a patto che non sia l’occasione per aumentare ulteriormente il carico di lavoro domestico delle donne lavoratrici. Il gender gap si manifesta anche al di fuori dell’ufficio, con ripercussioni importanti sul benessere delle donne che lavorano. Il lavoro agile non gestito a dovere fa sì che i tempi di vita e di lavoro si sovrappongano pericolosamente, a danno soprattutto della popolazione femminile, che, negli anni, si era conquistata faticosamente alcune ore di tempo libero durante la settimana, apparentemente perse con la pandemia.
Ad evidenziare questa condizione è l’Axa Research Lab on gender equality, dell’Università Bocconi, che sottolinea come il 40% degli uomini, in concomitanza con l’utilizzo dello smart working durante la pandemia, abbia segnalato un incremento delle incombenze domestiche. Questa incidenza è stata molto superiore tra le donne (65%), segnale che il gender gap non riguarda solo il salario o le possibilità di carriera, ma anche le attività casalinghe.
Lo smart working è generalmente accolto di buon grado dalle persone, che lo considerano come uno strumento per migliorare la qualità del lavoro delle organizzazioni, e nonché un’occasione per gestire più liberamente il proprio tempo. Un’approvazione confermata anche dalle aziende, che hanno toccato con mano come il lavoro agile non interferisca con la produttività e, anzi, la sostenga. A intervenire negativamente nel gender gap tra le mura domestiche, rispetto al work life balance, è stata la pandemia: l’arrivo del Covid-19, da una parte ha accelerato la diffusione dello smart working, dall’altra ha aggiunto carichi di lavoro soprattutto alle donne.
Sebbene, in genere, si sia passato più tempo in famiglia, il divario di responsabilità tra i generi, già esistente, è cresciuto. Sono state soprattutto le donne a occuparsi dei figli impegnati in dad, o dei genitori bisognosi di assistenza, con inevitabili conseguenze sul tempo da dedicare al lavoro. Le donne hanno aumentato le loro ore giornaliere di lavoro domestico da 2,52, prima della pandemia, a una media di tre ore durante la prima ondata. Gli uomini sono passati da 1,26 a 1,57, e due anni di pandemia hanno acuito la situazione preesistente.
La parità di genere è, prima di tutto, una questione di giustizia, ma nel contesto economico rappresenta anche un ostacolo alla produttività delle imprese. La tendenza a gestire lo smart working mettendo a rischio il work life balance delle donne, incide negativamente sulle performance aziendali: le ricerche condotte nel tempo hanno dimostrato come la parità di condizioni tra i generi sia uno strumento di competitività per ogni Paese.
L’Axa Research Lab on Gender equality ha messo in evidenza quanto sia necessario, nel momento in cui si programma la ripresa post pandemica, tener conto di questo aspetto, con l’obiettivo di trasformarla nell’avvio di una stagione di crescita sociale ed economica, in cui le donne trovino modo e spazio per esprimere appieno la propria professionalità.
Secondo il World Economic Forum, i progressi per colmare il gender gap nel mondo del lavoro procedono troppo a rilento, tanto che la parità potrà essere raggiunta solo tra 268 anni, anche se vi sono differenze importanti tra i Paesi, con quelli del Nord Europa che rappresentano le realtà più virtuose. Il primo posto è occupato dall’Islanda, il secondo dalla Finlandia, terza la Norvegia; al quarto posto si piazza la Nuova Zelanda, e al quinto la Svezia. La Namibia è sesta e il Ruanda settimo, mentre l’Italia ha fatto progressi significativi tra il 2020 e il 2021, salendo di 13 posizioni, ma si ferma comunque al sessantatreesimo posto su 156 Paesi considerati.
Il Wec riconosce all’Italia passi avanti rispetto alla presenza femminile nelle istituzioni, ma per ciò che riguarda la partecipazione economica si posiziona al centoquattordicesimo posto. La ripresa economica dovrà, quindi, concentrarsi soprattutto sulla riduzione delle differenze di genere: le pari opportunità sono diventate una priorità nell’ottica di uno sviluppo sostenibile.
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