Ne parliamo con Arianna Visentini, presidente e founder Variazioni, prima società in Italia ad aver sviluppato soluzioni per il lavoro agile
Lo smart working, di per sé, non è una soluzione ma uno strumento. Un mezzo che possiamo progettare a seconda degli obiettivi e dei valori azienda. Come? Ne parliamo con Arianna Visentini, presidente e founder Variazioni, intervenuta alla Round Table dedicata da SHR Italia al tema del lavoro agile.
Variazioni è la prima società in Italia ad aver sviluppato soluzioni per il lavoro agile. Dal 2009 eroga servizi legati a smart workingÈ una nuova modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, introdotta dalla l. 81/2017 e caratterizzata dall’assenza di precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro per il dipendente. More e formazione manageriale e segue progetti di change management per aziende private e pubblica amministrazione. Eroga in media 5 mila ore di formazione ogni anno e in questi anni ha accompagnato oltre cento aziende a definire la propria policy per il lavoro agile.
«Tre» spiega Visentini «sono gli ambiti di merito rispetto ai quali si deve realizzare il benessere dei lavoratori: efficienza organizzativa, benessere della persona, ambiente e sostenibilità. Dal punto di vista dell’efficienza, lo smart working ha innumerevoli vantaggi: riduzione assenze, taglio costi, aumento produttività.
Quanto al benessere, grazie allo smart working i dipendenti risparmiamo tempo e denaro e guadagnano in benessere e soddisfazione. Infine, il lavoro agile migliora anche la qualità dell’ambiente, riduce i km percorsi e le emissioni di CO2 nell’atmosfera. Una strategia win win win, vincente per l’azienda, i lavoratori e la comunità».
Il lavoro agile non è un benefit, ma uno strumento da implementare con un programma di vero e proprio project management. «La prima fase» spiega Visentini «è proprio quella di progettazione. Il primo step è l’analisi del punto di partenza: se e quanta è la quota di remotizzazione, com’è il clima, quali sono i livelli di fiducia e la qualità delle relazioni.
In fase progettuale c’è anche un’attività di dreaming e di envisioning: progettiamo il futuro come vogliamo vederlo insieme. Il problema, per noi, è che non sempre le aziende hanno le idee chiare su cosa si aspettano dal lavoro agile: risparmio, conciliazione, efficienza, efficacia? Gli obiettivi possono essere tanti, per raggiungerli bisogna essere coscienti del fatto che lo smart working è uno strumento».
«Dopo aver disegnato la policy» continua Visentini «si interviene con una fase di formazione, in presenza e a distanza, soft e tecnica. Importante è anche la comunicazione interna, perché molto spesso i progetti sono legati anche al manifesto valoriale dell’azienda. Alla fine viene svolto un monitoraggio sui risultati, per valutare se i kpi sono stati raggiunti».
«Gli ultimi due anni» prosegue Visentini «hanno segnato un forte cambiamento nelle nostre vite. L’emergenza sanitaria ha impostato la più grande trasformazione del mondo del lavoro, con la prima sperimentazione di massa del lavoro a distanza su larga scala. Prima del Covid avevamo 570 mila lavoratori a distanza, poi siamo passati a 8 milioni di lavoratori in smart working durante il lockdown.
Passata l’emergenza le stime prevedono che rimarranno in lavoro agile da 3 a 5 milioni di lavoratori. La trasformazione è epocale, e ha avuto un impatto non solo sul nostro modo di lavorare ma anche sul nostro modo di vivere il lavoro.
La cosiddetta “big resignation”, o “big quit” ha visto una grande platea di persone che hanno scelto di cambiare totalmente vita. L’esperienza della pandemia ci ha messo di fronte al fatto che il nostro tempo ha grandissimo valore e non possiamo “venderlo” senza che abbia efficacia. Il tempo che abbiamo da vivere» conclude Visentini «e lo vogliamo spendere al meglio».