Quasi un 1 milione e mezzo di lavoratori in più, rispetto al 2008, ha dovuto accettare una riduzione di orario e stipendio. Le donne le più colpite
Nell’ultimo decennio sono raddoppiati i casi di part-time involontario, forzato o obbligato, che dir si voglia, ovvero quelle situazioni in cui il datore di lavoro “impone” al dipendente una riduzione di orario e stipendio.
Dal 2008 al 2018 il dato è schizzato al +107% (dati Istat “Rapporto annuale 2019”), con un aumento dei casi da 1,3 a 2,8 milioni.
Gli occupati che hanno dovuto accettare una forma di orario ridotto forzato sono stati l’11,9% del totale degli occupati (23,2 milioni nel 2018), e il 64,1% dei lavoratori part-time.
Valori indicativi del peso crescente di comparti ad alta intensità di part-time come sanità, servizi alle imprese, alberghi e ristorazione, servizi alle famiglie e commercio.
Le più colpite dal fenomeno sono state le donne, infatti circa i due terzi dell’aumento del part-time obbligato, nei dieci anni presi in considerazione, ha riguardato proprio loro.
Nel 2018, sul totale delle donne al lavoro in Italia (9,8 milioni), il 19,5% lavorava a tempo parziale, non per scelta, ma in seguito alla decisione del datore di lavoro, con picchi nel settore alberghi e ristorazione (33,1%) e nelle professioni non qualificate (44,1%). Oltre a ciò mezzo milione di occupate si trovava in uno stato di “doppia vulnerabilità”, svolgendo un lavoro dipendente a termine e in part-time forzato (il 5,3% contro il 2,1% dei maschi).
Il “lato oscuro” del part-time involontario risiede nel fatto che non di rado il passaggio alla riduzione di orario avviene senza cambiamenti di mansione e gestione del lavoro, ma diminuiscono soltanto le ore di lavoro a livello formale.
In pratica la quantità di lavoro da svolgere, ed effettivamente svolto, rimane la stessa di un full-time, ma lo stipendio diminuisce, trasformando il part-time obbligato in uno strumento conveniente solo per il datore e in una forma di lavoro sommerso.
In molti casi i lavoratori preferiscono adattarsi con insofferenza al nuovo regime piuttosto che denunciare la loro condizione, anche se per legge gli strumenti e le tutele esistono.
Il timore più diffuso è quello di perdere il lavoro.
In questo scenario spesso tocca alle donne, in molti casi alle madri al rientro dalla maternità, ricevere la richiesta da parte del datore, che supporta la decisione giustificando l’orario ridotto come una migliore forma di conciliazione tra vita e lavoro.
Secondo il rapporto la fase economica recessiva ha provocato una forte riduzione del lavoro a tempo pieno, e una crescita costante degli occupati a orario ridotto dal 2010 al 2017.
Nel 2018 gli occupati in part-time ammontavano a 4,3 milioni, un milione in più rispetto al 2008 (+30,3%), ovvero il 18,6% degli occupati (14,3% nel 2008).