Stipendi: aumenti in arrivo, ma per le donne la busta paga è più leggera

ragazza che controlla il suo stipendio

Pesa il divario salariale, ma non solo: le donne sono meno soddisfatte e si sentono meno considerate. L’allarme di ADP: “si rischia l’esodo di talenti”

Meno pagate, meno gratificate, meno soddisfatte del proprio lavoro. E anche con meno probabilità di ottenere un aumento nel breve termine. Non è dei più incoraggianti il ritratto delle lavoratrici italiane che emerge dal rapporto “People at Work 2023: A Global Workforce View” dell’ADP Research Institute

Il report, condotto su oltre 32.000 lavoratori in 17 Paesi, analizza la percezione che i dipendenti hanno dell’attuale mondo del lavoro e di ciò che si aspettano e sperano di ottenere dal proprio datore di lavoro in futuro.

Per quanto riguarda i lavoratori italiani, circa la metà prevede di ottenere un aumento di stipendio nei prossimi mesi e il 44% l’aveva già ottenuto l’anno scorso. Tra le donne, tuttavia, sono più basse sia le percentuali di coloro che hanno ottenuto o otterranno un aumento e sia la portata dell’aumento stesso

Un punto dolente, quello del gender pay gap, sul quale è intervenuto anche il Parlamento Europeo con l’approvazione della direttiva sulla trasparenza salariale, che pone fine al cosiddetto “segreto retributivo”.

La metà dei lavoratori italiani si aspetta un aumento nel prossimo anno

Nel mondo, secondo i dati ADP, più di otto lavoratori su dieci (83%) prevedono di ottenere un aumento di stipendio nei prossimi 12 mesi, sia dal loro attuale datore di lavoro sia cambiando lavoro. In media, si aspettano un aumento dell’8,3%. Tuttavia, poco più di un terzo dei lavoratori (34%) si aspetta un aumento di stipendio del 10% o più e uno su 10 (10%) si aspetta più del 15%.

Tra i vari settori, i lavoratori dei servizi professionali e IT/telecomunicazioni si aspettano gli aumenti di stipendio più elevati per il prossimo anno (in media dell’8,7%), mentre il personale del settore ricreativo e dell’ospitalità prevede quelli più bassi (in media del 7,6%).

I risultati si inseriscono nel contesto dell’attuale crisi del costo della vita, in cui i lavoratori di molti Paesi dimostrano la volontà di intraprendere azioni sindacali per spingere i datori di lavoro a essere più generosi in materia di retribuzione e condizioni. 

Più di 4 lavoratori su 10 (44%) ritengono, infatti, di essere sottopagati per il loro lavoro.

Per quanto riguarda il contesto italiano, circa la metà degli intervistati prevede di ottenere un aumento di stipendio nei prossimi 12 mesi, con un incremento medio pari al 6%.

Questo nonostante lo scorso anno in Italia il 44% dei dipendenti abbia ottenuto un incremento medio dello stipendio pari al 5,5%

Ma le donne sono sempre penalizzate

Gli uomini, tuttavia, affermano che la loro retribuzione è aumentata del 5,8% lo scorso anno, rispetto al 5,2% delle donne. A ottenere un aumento, inoltre, sono stati il 50% degli uomini e solo il 36% delle donne.

In termini di aspettative non ci sono forti differenze tra uomini e donne, mentre maggiore divario si ha se guardiamo alle priorità, dove lo stipendio occupa la prima posizione. Come riporta lo studio, il 53% dei lavoratori italiani afferma che la retribuzione è il fattore più importante in ambito lavorativo, di questi il 48% è uomo e ben il 58% è donna.

Un dato che potrebbe essere correlato sia al tasso di insoddisfazione (54%) concernente il salario ricevuto, dove troviamo un maggiore scontento tra le donne (56%) rispetto agli uomini (52%), sia al percepito sull’adeguatezza del proprio stipendio rispetto al lavoro svolto. Nel dettaglio, il 45,6% degli italiani pensa di essere pagato meno di quanto meriterebbe, di questi il 43% è uomo e il 48% è donna.

Ancora: in Italia, si sente sottopagato il 48% delle donne, mentre la percentuale scende al 43% per quanto riguarda gli uomini.

Dalla ricerca emerge anche che un italiano su 4 (23%) pensa che rispetto a tre anni fa il divario retributivo sia migliorato all’interno della propria azienda, ma il 50% pensa che la situazione sia la medesima, e il 20% che sia addirittura peggiorata.

“Nonostante l’acceso dibattito in merito al divario retributivo di genere – commenta Marcela Uribe, General Manager Southern Europe di ADP, – il problema sta peggiorando. Gli aumenti salariali delle donne semplicemente non tengono il passo con quelli degli uomini e, durante un periodo inflattivo così grave, il problema è più grave che mai”. 

“In un momento in cui molte persone stanno affrontando vere difficoltà finanziarie – aggiunge Uribe – le donne stanno ancora una volta subendo la situazione peggiore. È importante che i datori di lavoro dispongano di sistemi solidi per rilevare incoerenze e disuguaglianze nell’importo retribuito del personale in modo da poter affrontare eventuali divari retributivi di genere. In caso contrario, tale ingiustizia potrebbe perpetuarsi, portando alla mancanza di motivazione e innescando un esodo di talento femminile”.

Parità salariale, l’intervento del Consiglio Europeo

Sul tema della parità salariale è intervenuto anche il Parlamento Europeo, con l’approvazione della direttiva sulla trasparenza salariale.

La direttiva stabilisce nuovi obblighi per le aziende fin dalla fase che precede l’assunzione. Dal 2026, infatti, per tutti gli annunci di lavoro sarà obbligatorio indicare lo stipendio offerto e i livelli di inquadramento previsti. 

Inoltre, le aziende non potranno più chiedere ai candidati informazioni sulle retribuzioni percepite negli attuali o nei precedenti rapporti di lavoro.

Ancora: in base alla direttiva, le imprese saranno tenute ad inviare ai dipendenti e ai rappresentanti sindacali le informazioni più importanti sul divario retributivo di genere, quali gender pay gap generale, percentuale di lavoratori suddivisi per sesso, livelli di inquadramento ed eventuali divari retributivi.

Nel caso in cui il divario superi il 5% e l’azienda non sia in grado di motivare oggettivamente tale differenza, scatterà l’obbligo di valutazione congiunta assieme ai rappresentanti dei lavoratori. In questo modo sarà possibile individuare, correggere e prevenire le differenze retributive di genere. 

 

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