Tre consigli su come diventare coach di noi stessi

New mindset à New results
(foto Shutterstock)

Per essere coach di noi stessi dobbiamo innanzitutto cambiare prospettiva: il coaching è un approccio. Ecco dei consigli per adottarlo in prima persona

Degli indubbi benefici del coaching  abbiamo già diffusamente parlato. Rimane un dato di fatto, tuttavia, che la possibilità di trascorrere del tempo con un coach qualificato non è alla portata di tutti. Possiamo, allora, trasformarci nel coach di noi stessi? Helen Tupper e Sarah Ellis sulla Harvard Business Review suggeriscono che sì, possiamo farlo ad alcune condizioni.

«Per rendere accessibile il coaching» scrivono infatti Ellis e Tupper, «dobbiamo allargare la sua definizione da persona ad approccio».

Per farlo, è necessario apprendere le competenze necessarie per “allenare” sé stessi e la propria carriera. «Questo» precisano le autrici «non sostituisce il valore delle conversazioni di carriera con altre persone, semmai fa il contrario mettendoti nella posizione di avere conversazioni di coaching più significative con un’ampia varietà di persone, come manager, colleghi e mentori.

Le abilità di auto-coaching accelerano la tua autocoscienza e la tua autosufficienza, aiutandoti ad affrontare la tua carriera con maggiore sicurezza e controllo».

Ecco quindi, in sintesi, i tre consigli di Helen Tupper e Sarah Ellis per diventare coach di noi stessi.

Self-awareness

Per raggiungere alti livelli di autoconsapevolezza, abbiamo bisogno di vedere noi stessi chiaramente e capire come sono gli altri. L’autocoscienza non nasce per caso, noi la realizziamo. Ecco due modi per migliorare l’autocoscienza da integrare nella giornata lavorativa.

Crea una mappa mentale di cinque minuti

Dedicare alcuni minuti di riflessione a noi stessi, ai nostri valori e alle nostre convinzioni aiuta a concentrarsi in modo più proficuo sulla propria sfida personale. Il consiglio è quello di prendere un foglio bianco e scrivere al centro la propria sfida.

Poi, annotare tutte le riflessioni inerenti. «Ad esempio» si legge sulla Harvard Business Review «se hai una relazione difficile con qualcuno al lavoro, potresti riflettere sul tuo bisogno di piacere alle persone. Oppure potresti giungere alla conclusione che, semplicemente, le persone che trovi difficili lavorano in modo diverso da te.

Più lo farai regolarmente, più noterai schemi nel tuo pensiero che potrebbero funzionare a favore o contro di te sul lavoro. Questa consapevolezza di te stesso ti aiuterà a sbloccarti».

Comprendere l’intento e l’impatto

Per individuare le lacune di autocoscienza su cui lavorare, dobbiamo capire se ciò per cui vogliamo essere conosciuti è coerente con il modo in cui ci presentiamo.

Ad esempio, a seconda della situazione, potremmo voler essere credibili oppure collaborativi. Il consiglio di Ellis e Tupper è quello di chiedere ad almeno una persona coinvolta di descrivere il nostro impatto dal loro punto di vista, in una parola. E quindi confrontare le intenzioni con il feedback ricevuto.

Porsi domande da coach

Le “domande fai da te” (“coach yourself questions”, cyq) possono sbloccare il pensiero e supportarci nell’identificazione di azioni che aiuteranno a fare progressi positivi. Queste domande devono essere aperte e focalizzate sul sé.

Ecco alcuni esempi di cyq: Cosa mi dà più energia al lavoro? Quando lascerò che la mia autostima mi trattenga? Come posso aumentare la frequenza del feedback che ricevo? Chi potrebbe offrirmi una prospettiva diversa sulla mia sfida professionale? Cosa voglio che sia vero tra 12 mesi che non è vero oggi?

Ascoltare sé stessi

Per allenarci, dobbiamo diventare abili nell’ascoltare i pensieri e le convinzioni che guidano le nostre azioni. Tuttavia, la distrazione e il disagio possono far vagare la nostra mente. Quando perdiamo l’attenzione, non raggiungiamo la profondità di riflessione che ci aiuterebbe a pensare o ad agire in modo diverso. Ecco un paio di tecniche per favorire la concentrazione.

Trova il tuo punto debole

Tutti si distraggono. Capire quando e dove succede è importante per non essere d’intralcio a noi stessi. Se il punto debole è la tecnologia, ad esempio, possiamo lasciare i dispositivi in ​​un’altra stanza.

Sii il tuo migliore amico

Per essere coach di noi stessi dobbiamo imparare ad ascoltarci. Abbiamo tutti un allenatore interiore e un critico interiore, e ci saranno momenti in cui il critico interiore si insinuerà e inizierà a prendere il controllo. Potrebbe suonare come “Non sono abbastanza intelligente per capirlo” o “Non posso farlo, quindi dovrei arrendermi ora”.

«Per calmarlo» scrivono Ellis e Tupper «prova a parlare a te stesso nello stesso modo in cui parlerebbe con te il tuo migliore amico. Immagina di avere una conversazione con quella persona e scrivi tre frasi di supporto. Tieni a mente questa persona quando il tuo critico interiore si insinua».

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