Parlare di sostenibilità implica abbracciare in modo concreto ciascuno dei tre pilastri ESG. Partiamo dall’Ambiente (Environmental).
Parlare di ambiente in chiave ESG sembra essere il primo passo naturale quando si discute di responsabilità aziendale. È l’aspetto più immediato da percepire, perché riguarda l’impatto che le aziende hanno sui territori e sull’ambiente attraverso la gestione della produzione, delle materie prime e delle attività commerciali, lungo tutta la catena del valore.
Tuttavia, per comprendere davvero questo tema, è fondamentale partire da una domanda essenziale: cosa significa essere un’azienda esg attenta all’ambiente?
Se in origine la normativa di riferimento in questo ambito aveva un obiettivo finanziario, volto a orientare gli investimenti verso aziende più attente a uno sviluppo responsabile, oggi siamo arrivati a un punto in cui obiettivi finanziari ed etici sono strettamente connessi.
I principi ESG rappresentano questa evoluzione: non si tratta più solo di essere aziende attente all’ambiente, ma di integrare concretamente ogni aspetto ambientale, sociale e di governance nelle proprie strategie di crescita. Un approccio che va oltre la semplice responsabilità, trasformandosi in un nuovo modello di sviluppo sostenibile.
Negli ultimi decenni si è passati da una logica basata sulla massimizzazione del valore economico per gli azionisti (shareholder) a un modello orientato alla costruzione di relazioni durature con tutti i portatori di interesse (stakeholder).
Un passo fondamentale in questa direzione è stato il Libro Verde della Commissione Europea del 2001, in cui il Bilancio di Sostenibilità è stato definito come “l’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”.
Sul piano ambientale, i principali stakeholder sono le comunità e i territori di riferimento, ovvero i primi soggetti su cui si riflettono i principi dell’agire responsabile.
La Costituzione italiana riconosce alcuni principi fondamentali in materia di ambiente, tutelando la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni.
L’articolo 9 stabilisce che lo Stato deve garantire la tutela degli animali, definendo modalità e strumenti per proteggerli.
L’articolo 41 riconosce e favorisce l’iniziativa economica privata, ma con un limite chiaro: l’attività d’impresa non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, né arrecare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà o alla dignità umana.
Lo stesso articolo prevede inoltre che la legge debba stabilire programmi e controlli per indirizzare l’attività economica, pubblica e privata, affinché sia coordinata verso obiettivi sociali e ambientali.
Misurare, gestire e comunicare in modo trasparente l’impatto di un’attività d’impresa è oggi la base per costruire una vera cultura della responsabilità.
Si tratta di un concetto più ampio rispetto alla Responsabilità Sociale d’Impresa prevista dal D.Lgs. n. 231/2001, o all’adozione di codici etici improntati su trasparenza e legalità. Significa integrare sostenibilità e strategie di business secondo i parametri ESG, andando oltre i soli obblighi normativi.
Anche il Bilancio segue questa logica: stabilisce quali informazioni devono essere rendicontate, suddividendole in macro-temi ESG (art. 29ter e 29quater Direttiva 2013/34/UE, art. 3, c. 6 D.Lgs. n. 125/2024). Il tutto nel rispetto degli standard EFRAG, adottati di volta in volta dalla Commissione UE (ESRS).
I principi ESRS (European Sustainability Reporting Standards) sono stati introdotti con la Direttiva UE 2022/2464 (Corporate Sustainability Reporting Directive – CSRD) e adottati attraverso il Regolamento delegato (UE) 2023/2772 della Commissione Europea del 31 luglio 2023.
Il loro obiettivo è definire in modo chiaro le informazioni sulla sostenibilità che un’azienda che segue criteri esg deve comunicare, in conformità alla Direttiva 2013/34/UE. Gli ESRS rappresentano quindi il quadro di riferimento più avanzato e completo a livello europeo per la rendicontazione della sostenibilità.
Per quanto riguarda l’ambiente, i principali standard ESRS sono:
L’economia circolare è da tempo una risposta concreta all’idea di azione responsabile. I suoi principi fondamentali possono essere riassunti così:
L’era dell’obsolescenza programmata è ormai superata. Questa strategia, diffusa soprattutto negli anni ‘50, ha condizionato per decenni la produzione, ignorando un principio fondamentale: le risorse del pianeta non sono infinite.
Si trattava di una scelta intenzionale adottata da alcuni produttori per limitare la durata dei prodotti, spingendo i consumatori a sostituirli più frequentemente. Un modello che ha avuto un forte impatto non solo sulle abitudini di consumo, ma anche sull’ambiente.
Oggi, l’Unione Europea ha preso in esame questa pratica per accompagnare la transizione verso una produzione realmente sostenibile. Documenti come il piano d’azione europeo per l’economia circolare (“Closing the loop” – COM(2015)) e il Rapporto del Parlamento Europeo sulla durata dei prodotti e la lotta all’obsolescenza programmata (2017/2279) tracciano la strada per un nuovo approccio produttivo, basato su durabilità, riparabilità e minore impatto ambientale.
Oltre alle molte aziende virtuose che in Italia e nel mondo stanno già applicando i principi dell’economia circolare nelle loro strategie di business, un riferimento utile per capire dove si colloca l’Italia è il rapporto “Il Riciclo in Italia 2024“, realizzato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile in collaborazione con le filiere del riciclo e vari consorzi. Questo documento offre una panoramica dettagliata sulle performance italiane nel settore del riciclo.
Il rapporto evidenzia un indice di circolarità stabile e superiore alla media europea: nel 2023, il 20,8% dei materiali utilizzati dall’industria italiana proveniva dal riciclo, un dato quasi doppio rispetto alla media europea dell’11,8%.
Anche se in altre classifiche l’Italia può mostrare difficoltà, nel settore del riciclo si conferma leader europeo, con un tasso di riciclo del 72,2% per i rifiuti speciali e del 49,2% per i rifiuti urbani. L’obiettivo fissato dall’Unione Europea per il 2030 è del 60%, quindi c’è ancora margine di miglioramento, ma il risultato attuale resta significativo.
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