Per staccare la spina e rigenerare le energie psicofisiche, è possibile pensare a una ripresa del lavoro più rilassata, restando a lavorare in remoto?
Le vacanze sono ormai trascorse e siamo nel pieno di settembre, mese di rientro e di grandi progetti.
Le vacanze però sono ancora fresche nella nostra memoria: desiderate, pianificate con cura, immaginate in tutta la loro potenzialità di riposo.
Riposo che ciascuno intende a proprio modo: c’è chi ama la montagna, chi il mare, chi il lago, chi il viaggio culturale, chi il viaggio sportivo, chi l’isolamento che solo certi luoghi remoti e inaccessibili assicurano. C’è anche chi preferisce un riposo casalingo tra le mura domestiche della seconda casa (propria o in affitto).
Ce n’è insomma per tutti i gusti, con un desiderio comune: che siano l’occasione per rigenerarsi e per staccare la spina.
Sono sicuro che qualcuno ha pensato a come poter prolungare le sensazioni e l’energia positiva che nascono da certi luoghi e durante le vacanze, restando magari a lavorare da remoto per un po’, anche a ferie finite.
Questo è naturalmente possibile nelle aziende che prevedono in modo strutturale la modalità di lavoro full remote. Per molte altre, invece, la fine delle ferie, accompagnata dalla fine del lavoro agile emergenziale, rappresenterà l’occasione per avere nuovamente tutto il personale in presenza, relegando magari il lavoro da remoto solo ad alcuni giorni al mese, secondo quanto definito con la contrattazione aziendale.
Come affrontare allora la ripresa, senza il senso di smarrimento che spesso accompagna la fine delle ferie, oggi amplificato dalla prospettiva e dal desiderio del lavoro da remoto? Se il futuro del lavoro è ibrido, come conciliare i desideri e le aspirazioni a una vita più serena, il senso di libertà che il periodo di ferie porta con sé, con le necessità, le scadenze e l’impegno che la ripresa del lavoro necessariamente comporta?
Interrogativo di non poco conto, che implica una riflessione più ampia sulle priorità della vita e sul livello che il lavoro ha oggi raggiunto nella scala dei valori.
Soldi e carriera non sembrano più essere tra le priorità. Mentre un posto di riguardo ha acquisito la possibilità di svolgere un lavoro che piace e di poter scegliere, se possibile, quello ideale per contenuti e modalità di gestione, ma che assicuri anche una certa flessibilità di orario e la possibilità di lavorare in remoto, da casa o da altro luogo.
Una tendenza già in atto da tempo, che la pandemia ha solo accelerato e oggi reso sempre più strutturale, portando a ripensare non solo il modo in cui si lavora ma anche il modo in cui si vive e il modo in cui si costruisce la propria esperienza professionale.
Le ricerche confermano che è in atto una vera e propria rivoluzione nel modo di intendere il lavoro, soprattutto tra le nuove generazioni, che sognano in alcuni casi di trascorrere qualche anno a lavorare in full remote in giro per l’Italia o per il mondo.
Per fare esperienze, per vedere un po’ di mondo, per costruire un percorso professionale che non sia fatto necessariamente di soldi e carriera, ma di esperienze di vita. E, preferibilmente, nei primi anni di vita lavorativa, quando la strada non è ancora segnata da rigidi percorsi professionali o da pressanti impegni familiari.
È ad esempio la filosofia dei nomadi digitali e di quanti, durante la pandemia, hanno fatto ritorno nei luoghi di origine e nel Sud Italia: una forma di pendolarismo per unire soggiorni di svago a soggiorni di lavoro, non solo nei luoghi di origine, ma anche in città dove la qualità della vita è alta, perché più a misura d’uomo e magari meno stressanti delle grandi metropoli italiane ed estere.
Non a caso è proprio nel Sud Italia che è nata l’associazione South Working, con l’obiettivo di un rilancio culturale e sociale di certi territori, favorendo il re-insediamento di ritorno che può essere linfa vitale per queste aree.
Allo stesso tempo, però, ci si è resi conto che in mancanza di adeguate infrastrutture e di alcune delle caratteristiche e degli stimoli che rendono attrattive le grandi aree urbane del Nord Italia, dell’Europa e del mondo, questo è un modello di vita che va bene per brevi periodi, ma che non può mantenersi nel tempo.
Parallelamente, le ricerche dicono che il lavoro in presenza, l’ufficio, resta la modalità di lavoro preferita sia in fase di primo ingresso, sia per la socializzazione, sia per la collaborazione e il lavoro di squadra. Per costruire in definitiva quel senso di appartenenza che contribuisce a far crescere, con il concorso di tutte le persone che ci lavorano, l’identità di un’azienda.
Come conciliare allora il desiderio di evasione che d’estate si amplifica, con la costruzione di un’identità aziendale che solo il lavoro in presenza assicura?
Probabilmente re-imparando a separare meglio i momenti di pausa e di disconnessione e i momenti di lavoro. La flessibilità di orario e di luogo di lavoro, con i momenti in cui è necessario riappropriarsi attraverso il lavoro in presenza del senso di appartenenza e dei valori aziendali.
Adottando, in definitiva reali modelli di lavoro ibrido.
Un mezzo, per agevolare questo modo di sentire, potrebbe essere proprio quello di valorizzare modelli organizzativi ibridi, che aiutino ad attribuire alle ferie e ai momenti di pausa in genere il valore perso durante gli ultimi due anni a causa di quella anomala commistione di vita e lavoro che in alcuni casi non ha fatto bene né alla vita personale, né al lavoro.
Si tratta di un passo fondamentale per riappropriarsi del senso e significato delle parole «riposo» e «lavoro». Specie in un momento in cui il lavoro è sceso nella scala dei valori degli individui e la prospettiva del lavoro da remoto sembrerebbe essere la panacea di tutte le forme di insoddisfazione.
Qualcuno ha scritto che se non avessimo le stagioni non riusciremmo ad apprezzarne le differenze, il passaggio dalla stagione calda alla stagione più fredda e viceversa. In pratica i cambiamenti ciclici della natura che sono essenziali anche per il nostro equilibrio come esseri viventi.
E così deve avvenire anche dopo un periodo di ferie. Se il riposo è stato reale, se le ferie hanno veramente assolto al loro compito di rigenerazione delle energie psicofisiche, non vi sarà che il desiderio di tornare al lavoro. Anche in presenza, pronti, ricaricati e motivati.
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