Welfare pubblico e privato: un binomio ormai inscindibile

Welfare pubblico e privato
(foto Shutterstock)

Welfare aziendale e welfare pubblico possono andare a braccetto per potenziarsi a vicenda e concorrere al benessere a 360 gradi della persona

Una nuova consapevolezza

Negli anni è cresciuta la consapevolezza del ruolo che hanno gli strumenti di welfare pubblico all’interno delle organizzazioni, perché è parallelamente cambiato il modo attraverso il quale viene analizzato e interpretato il lavoro. Il tradizionale rapporto di scambio prestazione-retribuzione che caratterizza il rapporto di lavoro, si è arricchito già a partire dalla seconda metà del secolo scorso – grazie alla sociologia, alla psicologia e alle scienze organizzative – di ulteriori componenti di natura etica, comportamentale, valoriale, che stanno contribuendo a riscriverne le fondamenta. 

Un bagaglio immateriale di valori

La vita ha acquistato un nuovo valore. È innegabile, così come è cambiata la percezione del posto e del ruolo che ciascun individuo occupa nel lavoro, nelle comunità e nel sociale. La percezione di questi importanti cambiamenti è diventata bagaglio immateriale e permanente di ognuno di noi. Sintesi estrema del desiderio di trovare un punto di equilibrio tra il proprio essere individui nella famiglia e nella società e la concreta esigenza di trasferire questi valori anche all’interno delle organizzazioni e nel mercato del lavoro.

Il valore economico del welfare pubblico

L’evoluzione dei sistemi di welfare ha seguito questa identica rotta. Ha fornito alle persone, attraverso le sperimentazioni avviate nei contesti aziendali già dal primo decennio degli anni 2000, l’occasione per ripensare la propria collocazione all’interno dell’organizzazione. Se vogliamo capire i grandi passi che sono stati fatti in questi anni in questa materia e le suggestioni che tale evoluzione ha creato per l’evoluzione del welfare pubblico, dobbiamo partire dalla rilevanza sempre più significativa che le organizzazioni hanno riservato al bagaglio di complessità individuali, familiari e sociali che gli individui portano con sé giornalmente al lavoro. Forse il vero significato del concetto – spesso abusato – di “centralità della persona”.  

Il ruolo etico e sociale dell’impresa

In questo scenario se è vero che le imprese sono pur sempre organizzazioni guidate dal profitto, è anche vero che in esse è cresciuta considerevolmente la consapevolezza del proprio ruolo etico e sociale. Ruolo che diviene particolarmente rilevante a livello territoriale quando l’impresa diviene motore di sviluppo, di crescita e di evoluzione delle comunità in cui opera, soprattutto in quei contesti nei quali l’attività dell’impresa è fortemente integrata con il territorio. Si pensi ad esempio alla rilevanza – non solo produttiva – che hanno alcuni distretti industriali (ad esempio quello della meccatronica in Alto Adige; quello dell’alimentare nella zona di Parma; quello vitivinicolo delle Langhe e della Franciacorta; quello florovivaistico della zona di Pistoia; quello delle materie plastiche delle province di Padova, Vicenza e Treviso; quello della nautica di Viareggio).

Un ruolo crescente anche per la contrattazione collettiva

Segno evidente di questa evoluzione è la crescita che la contrattazione collettiva di livello nazionale ha avuto negli ultimi dieci anni. Affiancandosi a quella aziendale, tradizionalmente deputata alla definizione dei sistemi premiali, ai quali sono state agganciate, a partire dal 2016, le agevolazioni fiscali connesse con la conversione in welfare dei premi di risultato. 

È infatti cresciuta la quota di credito welfare che le aziende possono riconoscere – nella forma dei flexible benefit in stretta applicazione del contratto collettivo di livello nazionale. Come?

Dal metalmeccanico agli altri settori

È stato possibile aumentare la quota di credito welfare pubblico grazie a relazioni industriali più mature e consapevoli. In questo scenario ha fatto da pioniere il settore metalmeccanico, cui si sono affiancati negli anni molti altri rinnovi. In base ai dati diffusi dal VI Rapporto sul Secondo Welfare, il welfare originato dalla contrattazione collettiva interessa oggi quasi il 20% dei dipendenti (2.873.811 su 14.541.985) e il 14% delle imprese (219.123 su 1.546.376) “coperte” da CCNL firmati da Cgil, Cisl e Uil. Al 1° dicembre 2023 la previsione di misure di welfare risultava già presente in 19 contratti collettivi.

L’influenza positiva del welfare pubblico sul ruolo dello Stato sociale

Segno evidente della necessità di riconsiderare i rapporti di forza alla base del tradizionale rapporto contrattuale di lavoro, avendo riguardo al peso e alla rilevanza degli interessi, dei bisogni e delle esigenze personali e familiari con cui ciascuno convive giornalmente all’interno delle organizzazioni. Peso e rilevanza di cui oggi si fa portavoce anche lo Stato ripensando – proprio alla luce degli eventi degli ultimi anni – il proprio ruolo sociale. Come? Con interventi che tengono conto dell’evoluzione della società.

Ad esempio, con provvedimenti che, anche nel quadro degli obiettivi europei, sono diretti ad assicurare l’invecchiamento attivo, quali il D.Lgs. 15 marzo 2024, n. 29 che si propone l’obiettivo di promuovere la dignità e l’autonomia, l’inclusione sociale, l’invecchiamento attivo e la prevenzione della fragilità della popolazione anziana, anche attraverso il ricorso ad accomodamenti organizzativi che favoriscano il lavoro agile (art. 5). 

Ma anche con le più nuove misure pubbliche di sostegno alle persone e alle famiglie quali l’Assegno unico e universale (istituto introdotto nel 2021), il bonus asilo nido, il bonus psicologo

Misure specifiche, in alcuni casi dimenticate o in parte inutilizzate, che si traducono in un sostegno economico rilevante che si affianca alle misure previste dalla contrattazione collettiva di livello nazionale e di livello aziendale.

 

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