Le abitudini alimentari che favoriscono il nostro benessere: il Primario Stefano Erzegovesi spiega perché preferiamo dei cibi al posto di altri
Il modo in cui ci alimentiamo ha riflessi molto importanti sulla nostra salute, e sulla performance lavorativa, e le aziende possono fare molto per aiutare i dipendenti nel migliorare il proprio stile di vita alimentare. Questo il tema del primo dei tre incontri organizzati da SHR Italia, con il Patrocinio di Università Vita – Salute San Raffaele, dedicati al rapporto tra salute e lavoro, Lectures Series 2021.
Le lectures sono state inserite nel progetto di ricerca “Behavior Change: Green, Healthy, Fair”, e hanno coinvolto, oltre a Gianluca Spolverato, fondatore di SHR ITALIA e Matteo Motterlini, professore di Filosofia della Scienza ed economista comportamentale dell’Ateneo milanese, alcuni dei protagonisti del mondo accademico e della ricerca.
«Il vero cambiamento non avviene utilizzando regole e divieti – ha introdotto Matteo Motterlini –. Per promuovere la trasformazione e far sì che diventi concreta, si deve puntare sulla motivazione personale. La sfida, per le aziende, è quella di abbracciare una cultura della sperimentazione: confrontarsi con le aziende su questi temi equivale a promuovere comportamenti virtuosi, per colmare lo scarto esistente fra mondo accademico e concretezza».
Rispetto al tema dell’alimentazione, il cambiamento avviene partendo dalla teoria, e trasformando, poco a poco, ogni piccolo mutamento in un’abitudine consolidata: «Non è così semplice e scontato – ha spiegato Stefano Erzegovesi, primario del Centro per i Disturbi Alimentari dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano –, ma il modello coercitivo che, ad esempio, potrebbe applicare un medico nutrizionista nei confronti del paziente, è più simile a quello scolastico, e nel mondo adulto avrebbe scarso successo, perché totalmente scollegato dalla motivazione e dall’autonomia personale. Per questo è importante partire dalla consapevolezza e dalla conoscenza di come funzioniamo».
Il piatto ideale per un’alimentazione sana e nutrizionalmente completa dovrebbe essere costituito, per il 50% da frutta e verdura, considerando l’aspetto della stagionalità; da cereali integrali (cereali in chicco, orzo, farro, riso), e da legumi, e dalla parte proteica, non necessariamente collegata al mondo animale, per la restante parte. Il modello di Harvard che definisce il piatto ideale, è sovrapponibile alla dieta mediterranea, fatta di cibi poco costosi, ma ricchissimi di micronutrienti.
«In realtà – ha illustrato il Professor Stefano Erzegovesi – siamo circondati da cibo ultra processato, ovvero molto raffinato, che è anche quello più accessibile, e rappresenta esattamente l’opposto di ciò che dovremmo mangiare. Nell’affrontare le motivazioni che portano ognuno di noi a preferire cibi elaborati, rispetto ai vegetali, partiamo dalle nostre origini. Questa scelta ha a che fare con il funzionamento del nostro cervello e del nostro DNA: siamo i pronipoti dei nostri antenati che hanno vissuto le carestie. Dunque, siamo istintivamente attratti da tutto ciò che ha energia, soprattutto energia rapidamente disponibile. Ci fanno gola cose che hanno una grossa densità di sale, zucchero e grasso.
In ognuno di noi, secondo i più recenti studi in neuroscienze, l’effetto di grande gioia quando si mangia qualcosa, equivale alla sopravvivenza ma, se portiamo all’estremo questo meccanismo, l’effetto diventa drogante. Ciò significa che si avrà bisogno di quantità maggiori di un determinato cibo, e un’assunzione dello stesso sempre più frequente, con un danno per la nostra salute».
Il buon esempio e l’autoefficacia sono le due leve su cui far perno per modificare lo stile alimentare di ognuno, in particolare dei più giovani. «Il modello coercitivo non funziona con i bambini e ragazzi che, con il divieto di consumare determinati cibi, vengono privati della loro consapevolezza rispetto alle proprie sensazioni interne e percezioni – ha spiegato Erzegovesi –. Quindi la conoscenza è il primo passo per compiere una trasformazione. Ma vi sono altri aspetti importanti: ciò che noi trasmettiamo in casa rispetto all’alimentazione, sia sulla scelta dei cibi che sulle tempistiche, è molto importante.
E qui entra in gioco l’autoefficacia: le famiglie con stile cognitivo che contempla la fiducia nell’ottenere cambiamenti, sono facilitate, mentre quelle che si arrendono incontrano grandi difficoltà. Altro elemento che può fare la differenza nel cambiare stile alimentare, è il modo in cui frutta e verdura vengono messe a disposizione. Esse devono essere visibili agli occhi, e questo fa sì che la percentuale di assunzione di questi cibi arrivi anche al 50%».
La preparazione di ciò che mangiamo è fondamentale. «Per agevolare il processo di cambiamento, e favorire l’assunzione di frutta e verdura, si possono mettere in atto tanti piccoli ma importanti escamotage utili a cambiare alcune caratteristiche sensoriali del vegetale, in modo da renderlo più appetibile. Ad esempio – suggerisce Stefano Erzegovesi –, aggiungere spezie, frullare, tagliare in parti piccole, togliere la buccia.
Ricordiamo che in ognuno di noi c’è un bambino che ha bisogno di essere gratificato, specie se è stressato, quindi bisogna trovare delle modalità per rendere più gradevole uno stile alimentare più sano, ma apparentemente meno gustoso: preferire il ragù di verdure a quello di carne per condire la pasta, o guarnire una crema di zucca con mandorle tostate. Importante, poi, è anche l’accessibilità visiva: il piatto di verdura va messo in tavola da solo, non insieme alle altre portate.
Altra cosa utile può essere creare familiarità: una situazione di vicinanza e di comunanza con certi alimenti, come ad esempio cucinare una cotoletta con una fetta di cavolfiore o di melanzana».
In che modo l’azienda può aiutarci a cambiare le nostre abitudini alimentari? Ad esempio inserendo nel menù della mensa aziendale dei piatti a base di verdure, e limitare quelli ricchi di grassi o carboidrati. «Una persona in stato di benessere è una persona che funziona meglio. L’abbiocco post prandiale è legato al cibo che assumiamo. Più raffinato e peggio è. Per questo, in una giornata lavorativa, è preferibile mangiare cibi con carico glicemico basso, che consentano di essere lucidi – conclude Stefano Erzegovesi – Il consumo di frutta e verdura, cereali e legumi, inoltre, è strettamente collegato ad un netto miglioramento della longevità e ad una prevenzione delle malattie croniche fisiche».
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