Come valorizzare la tua azienda con gli asset intangibili

Carlotta Silvestrini ad Agenda 2030
(in foto, un momento del workshop di Mudra ad Agenda 2030)

Identificare e governare la forza invisibile che muove i mercati è fondamentale per far crescere il valore aziendale: i consigli di Carlotta Silvestrini (CEO di Mudra)

A definire il valore, e quindi la ricchezza di un’azienda, non ci sono solo gli asset materiali, tangibili, che sono facilmente misurabili in termini di impatto sul bilancio. Ci sono anche gli asset immateriali

Questi elementi sono costituiti da diversi fattori che aumentano il valore e la competitività dell’azienda sul mercato, ma non sono facilmente quantificabili con le regole della contabilità.

Gli asset immateriali sono molto ampi ed eterogenei e la loro importanza nella missione di un’azienda varia a seconda di numerosi fattori contingenti. 

Ne ha parlato Carlotta Silvestrini, CEO di Mudra (società di consulenza focalizzata sull’identificazione, lo sviluppo e la capitalizzazione degli asset immateriali) nell’ambito della sesta edizione di “Agenda 2030: I nuovi trend del lavoro che cambia”. L’evento, organizzato dallo studio legale WI LEGAL, si è svolto con il sostegno di Italian Welfare, Mudra, Umana e la collaborazione di laborability.

Quanto valgono gli asset immateriali

L’intangibile è difficile da “materializzare”, eppure ha un valore enorme. Silvestrini lo spiega così: “le nostre scelte come consumatori” dice “sono in ampia parte irrazionali: il confronto oggettivo tra diverse proposte, anche sperimentando i vari prodotti, non ci appartiene più. Quando acquistiamo, lo facciamo d’impulso”. 

“La spinta silenziosa che guida le nostre scelte si chiama “asset intangibile”, e vale un capitale: quello stesso capitale che rappresenta il valore “non tangibile”, quindi non legato al patrimonio netto, di un’azienda quotata in borsa. 

Nel 1975 solo il 17% del valore del mercato era dato da beni immateriali. Oggi la situazione si è rovesciata: l’intangibile vale il 90% del mercato azionario, e questo spiega perché è così importante”. 

Carlotta Silvestrini, CEO di Mudra

Il capitale comunicativo

Il patrimonio immateriale è fatto di molte componenti: una di queste, di fondamentale importanza, è il capitale comunicativo. “Comunicare il proprio purpose e la propria identità è fondamentale” spiega Silvestrini “ed è fondamentale soprattutto farlo con coerenza. Se nel lungo periodo un’azienda riesce a comunicare sé stessa con coerenza, allora crea valore”. 

L’azienda che non cura la propria immagine sul web, che non lascia tracce della propria esistenza e del proprio operato, è inevitabilmente più esposta nel momento in cui qualcosa va storto o si diffondono delle voci, magari non fondate: se l’identità è solida sarà facile smascherare una bugia. Se su di noi non era mai stato detto o scritto nulla, è quasi impossibile”. 

Un esempio positivo: Patagonia, noto marchio di abbigliamento outdoor, ha sempre fatto della sostenibilità ambientale una missione, e l’ha seguita con coerenza nel tempo. Senza sbandierarla. Quando la sostenibilità è diventata “di moda”, avrebbe potuto fregiarsi di una lunga e costruttiva tradizione, ma ha preferito una silenziosa coerenza. 

“Oggi parliamo spesso di green, perfino di pink washing” spiega ancora la CEO di Mudra. “Le azioni di facciata non fruttano nulla, anzi. Quel che crea valore è soprattutto la coerenza, nel tempo e negli intenti”.

Il valore dell’employer branding

La soddisfazione delle persone, a partire da quelle che lavorano per l’azienda, è un altro asset immateriale di grande valore. Cosa desiderano oggi le persone? Silvestrini cita un’indagine Randstad, secondo cui fra i desiderata spiccano un’atmosfera di lavoro piacevole, un buon equilibrio fra vita lavorativa e vita privata, retribuzione e benefit interessanti.

Tuttavia, a volte per individuare esattamente la giusta risposta per le esigenze delle persone è necessario uno studio più approfondito. La CEO di Mudra cita una consulenza fatta ad un’azienda di programmatori: “gli informatici vivono un po’ in un mondo a sé. Non vogliono rumore intorno, hanno bisogno di una concentrazione profonda e ognuno ha il suo modo di trovarla. Parlando con loro, poi avevamo scoperto che fra i loro desideri c’erano soprattutto il fatto di poter lavorare da casa e di poter lavorare di notte. Erano altri tempi, lo smart working ancora non era diffuso. Non è stato facile convincere l’azienda, ma venire incontro ai desideri reali delle persone ha fatto la differenza”.

 

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