Kristine Dahl Steidel, vicepresidente di VMware, e Carl Benedikt Frey, della Oxford University, immaginano il futuro del lavoro nel post pandemia
Negli ultimi trent’anni il mondo si è evoluto a ritmi vertiginosi, ma nel corso del 2020 c’è stata un’impennata imprevedibile, inarrestabile, che ha segnato un punto di non ritorno. E ora, cosa ci aspetta per il futuro? Kristine Dahl Steidel, vicepresidente di Emea VMware (società specializzata nello sviluppo di software), ne ha discusso con Carl Benedikt Frey, direttore del programma Future of Work della Oxford University. Un estratto di questo dialogo, ripreso da numerose testate, è riportato sul blog aziendale di VMware.
Un primo tema su cui la pandemia ha avuto un peso incisivo è il modo di misurare le performance dei lavoratori. Secondo Frey, «presentarsi in ufficio o segnare le proprie ore lavorative non saranno più indicatori rilevanti. Al contrario, sarà rivolta sempre più attenzione all’output rispetto all’input. Nel 2021 assisteremo a questo grande cambiamento di mentalità. Le organizzazioni innovative e competitive si orienteranno verso la misurazione dei risultati piuttosto che verso il numero delle ore lavorate».
Il lavoratore avrà, quindi, molta più autonomia organizzativa. «Nel supervisionare i propri team – dice infatti Steidel – i manager si sono affidati troppo a lungo ai soli input, come il tempo trascorso in ufficio, piuttosto che ai risultati. Vedo, invece, per il futuro una maggior diffusione di un modello di forza lavoro più distribuito, in cui i dipendenti dispongano di una più ampia libertà di lavorare in luoghi diversi. Per i dipendenti si tratta di un cambiamento rivoluzionario, una vera opportunità che offre una maggiore flessibilità lavorativa, e incoraggia un grado di fiducia più elevato verso il proprio datore di lavoro. La domanda centrale è: stanno raggiungendo i loro KPI (“key performance indicator”, ndr) e sono reattivi nei confronti di clienti e collaboratori? Se la risposta è sì, non importa come strutturano la loro giornata».
Il lavoro da remoto ci ha permesso di scoprire che la distanza non è per forza un limite. E questo, per le aziende, ha aperto un mondo nella competizione per i migliori talenti, oggi reclutabili in tutto il mondo. «Quando le organizzazioni dispongono di una forza lavoro distribuita – continua Steidel – la geografia non è più un limite. Le aziende potranno assumere i propri collaboratori sulla base di competenze e caratteristiche. Questo è un dato che abbiamo riscontrato nel corso di un sondaggio svolto tra i responsabili aziendali dell’area Emea, con l’82% di loro che afferma che il lavoro a distanza li ha aiutati a reclutare candidati residenti al di fuori dei principali centri economici. Quando le aziende sono nelle condizioni di assumere i migliori talenti in ogni angolo del mondo, il bacino di candidati diventa molto più ampio ed è quindi fondamentale assicurarsi di essere realmente attrattive».
«Dalla Firenze rinascimentale alla Silicon Valley, l’innovazione ha sempre beneficiato della prossimità e delle interazioni casuali. Per questo, vedremo molto probabilmente una nuova ondata di strumenti di collaborazione», afferma Frey.
«Questa nuova tendenza – commenta Steidel, – tocca un aspetto veramente interessante. Nella nostra ricerca abbiamo scoperto, infatti, che circa tre quarti (76%) dei dipendenti ha riferito di percepire una maggiore connessione relazionale con i colleghi a seguito del lavoro a distanza. Per i responsabili aziendali sarà fondamentale lavorare su questo aspetto, in modo da ricreare quei momenti di generazione di nuove idee e guidare l’innovazione delle aziende. Proprio come gli uffici sono progettati per promuovere l’aumento delle interazioni sociali, il prossimo anno riconosceremo questa nuova necessità, per iniziare a incorporare soluzioni digitali creative anche nella nostra vita lavorativa. Basti pensare ad alcune nuove app, come Hallway e Donut, che ci permettono di scambiare più facilmente le idee innovative».
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