Un’importante sentenza della Cassazione ha stabilito che i beneficiari del reddito di cittadinanza avrebbero dovuto dichiarare anche le donazioni
Con la sentenza numero 23506 del 2022, la Suprema Corte ha confermato la condanna a 1 anno e 8 mesi di reclusione nei confronti di un imputato, beneficiario del reddito di cittadinanza, a cui era stato contestato di non aver dichiarato i proventi percepiti dal lavoro irregolare.
L’imputato si era difeso sostenendo che gli importi erogati non erano veri e propri stipendi, ma donazioni saltuarie. La Corte non ha accolto la difesa e ha ribadito che “si configura il reato di cui all’art. 7, d.lgs. 4/2019 anche nel caso di omessa comunicazione di una variazione patrimoniale rilevante, sussistente anche nel caso di conseguimento di somme di denaro per donazione”.
Il Reddito di cittadinanza è stato cancellato a partire dal 1° gennaio 2024, quando è stato sostituito dall’Assegno di inclusione (ADI), che ha caratteristiche diverse, come l’importo erogato e la platea degli aventi diritto.
Il diritto a ricevere l’assegno non era un parametro che veniva verificato una volta sola. Per continuare a ottenere il sussidio nel tempo, l’intero nucleo familiare doveva mantenere i requisiti soggettivi e patrimoniali richiesti. Se si perdeva anche solo un presupposto, non si aveva più diritto a riceverlo.
Queste stesse condizioni permangono nell’attuale Assegno di inclusione, che può essere rinnovato dopo un primo periodo di 18 mesi. Il successivo rinnovo e quelli seguenti, però, avverranno ogni 12 mesi, al termine dei quali bisognerà comunicare la propria situazione e valutare se si soddisfano ancora i requisiti.
Per questo motivo, la legge prevedeva dei precisi obblighi di comunicazione a carico di chi aveva diritto all’assegno. In particolare, era obbligatorio comunicare qualsiasi variazione del nucleo familiare o della propria situazione lavorativa, condizione rimasta in vigore anche per l’Assegno di inclusione.
Nello specifico, secondo la previsione dell’articolo 7 del decreto legislativo numero 4 del 2019, era obbligatorio comunicare tutte le variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenivano da attività irregolari, e tutte le altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio.
Se non fossero state comunicate queste variazioni (quello che in gergo si chiama “omessa comunicazione”), le conseguenze sarebbero potute essere molto gravi, perché si tratta di un comportamento severamente sanzionato dalla legge.
Prima di tutto, si sarebbe perso immediatamente il diritto al reddito; in secondo luogo, si sarebbero dovuti restituire tutti gli importi percepiti fino a quel momento. Ma non solo: per l’omessa comunicazione, infatti, è prevista una sanzione molto grave: la reclusione da uno a tre anni.
Anche se il Reddito di cittadinanza è stato eliminato, eventuali frodi commesse durante il periodo di erogazione sarebbero comunque passibili di denuncia, infatti l’INPS può effettuare controlli anche a posteriori.
È questa la domanda a cui ha dovuto rispondere la Suprema Corte di Cassazione, nel decidere definitivamente il procedimento penale che ha visto coinvolto proprio un uomo, beneficiario del reddito, a cui è stata contestata l’omessa comunicazione della percezione di importi di denaro.
Se un beneficiario avesse avuto la fortuna di ricevere un lascito in denaro, avrebbe dovuto dichiarare all’INPS queste somme e correre il rischio di perdere l’assegno?
Secondo la sentenza numero 23506 del 2022, la risposta è affermativa: andavano dichiarate anche le somme di denaro ricevuto in donazione. La Suprema Corte ha affermato che “si configura il reato di cui all’art. 7, nel caso di omessa comunicazione di una variazione patrimoniale rilevante, sussistente anche nel caso di conseguimento di somme di denaro per donazione”.
Considerando che tra i requisiti per il reddito di cittadinanza c’era anche un tetto al patrimonio immobiliare, esclusa la casa di residenza, inferiore ai 30.000 euro, la donazione di un immobile avrebbe portato il richiedente a superare il tetto limite e di non essere quindi più idoneo a percepire il Reddito di cittadinanza.
Lo stesso requisito è presente per l’Assegno di inclusione, dove viene inserita un’ulteriore condizione: il valore ai fini dell’imposta municipale propria (IMU) della casa dove si vive non deve superare i 150.000 euro.
Il possesso di una seconda casa (sia tramite donazione, che eredità o acquisto) non è una condizione senza la quale non si può ottenere l’Assegno di inclusione, come non lo era per percepire il Reddito di cittadinanza.
Infatti, come premesso, si può avere il possesso di più immobili se il loro valore nel complesso, a eccezione della casa dove si ha la residenza e quindi dove effettivamente si vive, non supera i 30.000€.
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