Salario minimo: solo l’1% dei lavoratori guadagna meno di 8 euro l’ora

Salario minimo in Italia
(foto Shutterstock)

Facciamo chiarezza sulla situazione italiana, su come si calcola correttamente la paga oraria e sui possibili effetti di questa nuova misura

Il salario minimo imposto per legge è uno dei temi che sta impegnando il mondo della politica, dividendo l’opinione pubblica e appassionando gli interpreti. Da un lato, alcune forze politiche cavalcano la battaglia in nome della lotta alla precarietà e al lavoro sottopagato. Dall’altro, il mondo dell’impresa assiste con preoccupazione alla possibile introduzione di un salario minimo, con inevitabile aumento dei costi del lavoro.

Ma com’è davvero la situazione degli stipendi in Italia? Quanti sono i lavoratori che guadagnano meno di 9 euro lordi all’ora? La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro ha elaborato un interessante Dossier (“Salario minimo in Italia: elementi per una valutazione”). Le conclusioni: in Italia solo l’1% dei lavoratori guadagna meno di 8 euro lordi.

Salario minimo: la condizione negli altri Stati Europei

Come ricorda il Dossier della Fondazione Studi, l’Italia è uno dei pochi paesi europei a non avere fissato un salario minimo inderogabile. Gli altri stati con una simile deregulation sono Cipro, Austria, Danimarca, Svezia e Finlandia. 

Tuttavia, gli altri Stati hanno adottato dei parametri completamente diversi e quantificazioni non paragonabili. Ad esempio, in Francia il salario minimo è fissato a 10,57 euro/ora, in Germania 9,82 euro/ora. Ma in Spagna lo stipendio minimo è di 6,06 euro/ora e in Portogallo appena 4,25 euro/ora. 

Introdurre ex lege un salario minimo significa superare d’autorità la contrattazione collettiva. A tal proposito, va opportunamente citata la Direttiva CE 2022/2041. Si tratta di un provvedimento comunitario che è stato erroneamente “tradotto” dai media nazionali, ingenerando spesso confusione

La direttiva europea

Per recepire tale Direttiva, infatti, gli Stati membri non devono introdurre un salario minimo, ma accertare se i rapporti di lavoro sono coperti da contrattazione collettiva per almeno l’80%. 

Solo se la percentuale è inferiore, gli stati devono muoversi per promuovere e favorire il raggiungimento dell’obiettivo. 

Nel dettaglio, per quanto riguarda la situazione italiana, i dati Inps, elaborati dalla Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, riferiscono che il tasso di copertura della contrattazione collettiva nel settore privato è pari al 96,5%, con esclusione del settore agricolo e domestico.

Due considerazioni. La prima: la maggior parte dei lavoratori sono “concentrati su pochi contratti”, ossia commercio-terziario-servizi (33,7%), metalmeccanica (19,2%), trasporti (6,8%), istruzione-sanità-cultura (6,8%), servizi (6,5%).

La seconda: più di 12 milioni di rapporti di lavoro – pari al 97,1% di tutti i rapporti – “sono coperti da CCNL sottoscritti da categorie associate a Cgil, Cisl e Uil”.

Solo l’1% dei lavoratori guadagna meno di 8 euro l’ora

Cosa considerare per calcolare lo stipendio minimo? L’intero dibattito sembra concordare su un unico aspetto: bisogna considerare la paga oraria. Tuttavia, non è l’unico fattore degno di nota nella valutazione del salario minimo

Come riferito nel Dossier della Fondazione Studi, per quantificare correttamente la paga oraria, vanno conteggiate anche la tredicesima, la quattordicesima e il TFR. Si pensi ad esempio che molti Stati che prevedono un salario minimo orario, in realtà hanno un sistema retributivo che non prevede il trattamento di fine rapporto, come succede ad esempio in Francia, Germania, Spagna.

Il Dossier della Fondazione Studi ha analizzato 61 contratti collettivi. Dallo studio emerge che:

  • 39 contratti garantiscono una retribuzione oraria superiore a 9 euro lordi;
  • 18 contratti prevedono una retribuzione oraria tra 8 e 9 euro lordi;
  • 3 contratti stabiliscono una retribuzione oraria inferiore a 8 euro lordi.

In particolare, l’81,8% dei lavoratori ha una retribuzione oraria superiore a 9 euro, il 17,3% tra 8 e 9 euro, lo 0,9% ha una retribuzione inferiore a 8 euro/ora.

L’aumento dei costi del lavoro e l’effetto trascinamento

Infine, posto che tutte le retribuzioni andrebbero adeguate rispetto alla nuova previsione, l’imposizione di un salario minimo inderogabile comporterebbe un inevitabile aumento dei costi del lavoro

Inoltre, secondo il Dossier della Fondazione Studi si produrrebbe il cosiddetto “effetto trascinamento” verso l’alto di tutte le retribuzioni che erano già sopra la soglia dei 9 euro. In altri termini, i lavoratori dei livelli superiori, proprio per effetto dell’aumento (ex lege) dello stipendio dei colleghi dei livelli inferiori, potrebbero chiedere un adeguamento verso l’alto della propria retribuzione. 

La Fondazione Studi lancia un suggerimento: il salario minimo inderogabile è quello indicato dai contratti collettivi comparativamente più rappresentativi nel proprio settore.

In questo modo, “non sarà il legislatore a stabilire parametri e limiti minimi, ma saranno i contratti comparativamente più rappresentativi nell’ambito di ciascun settore o comparto merceologico di riferimento”.

 

 

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