Mondo sportivo e aziendale condividono molto, e possono imparare l’uno dall’altro. I bravi allenatori, ad esempio, vanno presi a modello nel coinvolgere le persone
di Giampaolo Grossi, Dirigente di azienda
C’è un’immagine di Carlo Ancelotti, oggi allenatore del Real Madrid, che durante gli ultimi dieci minuti della partita per la Coppa dei Campioni volta le spalle al campo per parlare con due tra i suoi calciatori più esperti. Parliamo di due calciatori di punta, ma anche i più anziani: a fine partita non ce la facevano più e l’allenatore li chiama fuori.
Ma invece di mettersi in panchina, come di solito accade, i due vanno vicino ad Ancelotti, che smette di seguire il gioco, addirittura si volta, li ascolta, concorda con loro la strategia. Immaginiamo l’allenatore forse più vincente degli ultimi trent’anni, che invece di dettare la linea chiede ai suoi, decide insieme a loro il da farsi. E magicamente, o forse no, la squadra vince.
È un’immagine che, per me, descrive molto bene cosa significa ascoltare le persone, ma ascoltarle per davvero, facendo tesoro delle loro parole. Nello sport non funziona in modo molto diverso da come funziona in azienda: di fatto le persone vanno coinvolte, se vuoi che ti ascoltino. Inutile dare indicazioni a un calciatore che non condivide la tua strategia, perché non ti darà retta.
Allo stesso modo in azienda le persone vanno ascoltate. Se non vogliono parlare, a volte basta un piccolo sforzo: nel calcio ti portano a mangiare fuori, perché il contesto diverso mette le persone a loro agio. E il giorno dopo tornano in campo più forti e motivate. Allo stesso modo, in azienda basta poco per venire incontro alle persone: uscire di poco dagli schemi, anche solo uscire dagli uffici, fare una passeggiata fuori nel verde della natura.
Perché la strategia vincente la si costruisce insieme, ascoltando e coinvolgendo tutti. Nello sport su questo si lavora molto, in azienda ancora poco. Per contro, il mondo più “aziendale” del calcio è ancora molto arretrato.
Negli ultimi mesi, dopo 15 anni passati a correre a mille all’ora, mi sono fermato. Ho lasciato un incarico importante, mi sono concentrato su di me e sulla mia famiglia. Ho ripreso ad allenare una squadra di ragazzini e ho frequentato un master.
Ho ripreso in mano la formazione proprio tornando su quella che per più di vent’anni è stata la mia prima carriera: il calcio. Il master si concentra sull’Executive Management nel mondo dello sport: tocca argomenti come human capital, performance individuale, performance di gruppo, analisi di bilancio e strategia.
Temi che in parte conosco, in parte penso (e spero) di aver portato io stesso un contributo al corso, ma riaffrontarli in maniera strutturata è stato molto interessante. Questa esperienza mi ha aperto le porte di numerose società di serie A, anche internazionali, per discutere della possibilità di trasformare i direttori del mondo del calcio in manager.
Un salto necessario, che questo mondo ha bisogno di compiere sempre di più, nonostante si tratti di realtà corporate a tutti gli effetti. Ora sto lavorando alla presentazione finale, che riguarda una figura che possa aiutare i CEO delle aziende, ovvero coloro che hanno in mano il fondo d’investimento, a costruire insieme la mission e i valori aziendali su cui basare tutta la strategia, corporate e sportiva.
Il calcio, così come lo sport in generale, ha moltissima attrattività, sotto molti punti di vista, e sta evolvendo nella direzione giusta: in Italia si sta cercando di ristabilirne la sostenibilità e di riavvicinarlo ai valori fondamentali dello sport, qualcosa che può riavvicinare le famiglie e che sempre più sta coinvolgendo anche la componente femminile, che storicamente nel calcio era sempre rimasta ai margini. Oggi invece molte società stanno facendo crescere anche le squadre femminili con investimenti pianificati di sviluppo.
Tutto questo fa crescere la fan base, che a sua volta fa crescere il team value, che di fatto ti dice quanto vale il tuo prodotto. Quello dello sport rimane per me un mondo affascinante, con grandissime capacità di sviluppo. In serie A, con i piedi, purtroppo non ci sono arrivato. Chissà, magari questa volta ci arriverò con la testa, mai dire mai nella vita.
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