Il futuro del lavoro deve essere basato su 6 R: Rispetto, Responsabilità, Rilevanza, Risonanza, Reciprocità e Riconoscimento
Siamo nel pieno di un cambiamento radicale: si tratta di affrontare il prossimo decennio con una sensibilità rigenerata, spesso già presente nelle persone, all’insegna di nuove sfide sul piano politico e istituzionale, economico e sociale, a partire dall’esperienza che riguarda in primo luogo la dimensione che ci qualifica nel mondo: il lavoro.
Se approfondiamo la riflessione in termini di “professioni”, la risposta sembra essere quella delle visioni volontarie, che si fonda su 6 R: Rispetto, Responsabilità, Rilevanza, Risonanza, Reciprocità e Riconoscimento.
Essere professionisti significa oggi guardare al Green New Deal, all’inclusività digitale, al benessere e all’essere bene, alla prossimità relazionale, al Bene Comune.
Si tratta di ragionare sui valori riassunti nella formula ESG (Environment, Society, Governance) che implicano la rivincita delle competenze, una rinnovata catena della fiducia e una visione a lungo termine.
Sulla base di questo cambiamento si registrano i fenomeni delle dimissioniL’atto unilaterale con cui il lavoratore comunica di voler interrompere il rapporto lavorativo con il datore di lavoro. More di massa esplose in tutte le generazioni (da parte di persone assunte regolarmente con contratti a tempo indeterminato), per seguire le proprie vocazioni, passioni e motivazioni.
Le priorità valoriali si affermano al di là degli incentivi economici e ciò caratterizza anche il fenomeno del quiet quitting giovanile, che rifiuta il modello vivere per lavorare (e magari guadagnare tanto), e privilegia piuttosto la dimensione del lavorare per vivere o per crescere come persona, affrontando il rischio dell’incertezza. Ciò può significare anche fare il minimo indispensabile oppure concentrarsi sull’essenziale.
In questa visione indichiamo due dimensioni prioritarie: il nuovo rapporto con i luoghi e i tempi di lavoro e la centralità del femminile.
In due anni e mezzo di pandemia e lockdown, il vissuto del lavoro si è trasformato profondamente. Le esigenze sono cambiate e si è ampliata la concezione della libertà professionale.
Lo smart working ha rilanciato l’idea di luoghi domestici ritagliati sulle esigenze lavorative, ma anche di luoghi “altri” che conciliano l’esperienza di viaggio con i propri progetti professionali.
Contemporaneamente cambiano gli uffici, che diventano meno “burocratici” e più accoglienti, dovendo reggere la concorrenza abitativa delle case private.
Si tratta di una tendenza complementare a quella del nomadismo delle generazioni più giovani, che pretendono di esplorare il mondo, pur continuando a lavorare.
Anche il mondo del turismo e dell’accoglienza sta cambiando, sulla spinta di comportamenti ibridi, a cavallo tra lavoro, passioni personali e tempo dedicato agli amici e alla famiglia.
In conclusione possiamo affermare: abitare nei prossimi anni farà rima con lavorare.
Nel cambiamento digitale della vita onlife in cui siamo immersi, era ed è ancora forte il rischio che si dovrebbe evitare: la perdita di valore delle cose, delle persone, della loro profondità, come effetto apparentemente inevitabile di comportamenti veloci, ricorsivi, automatici, verso cui inconsapevolmente larga parte della società si sta orientando.
Siamo convinti che su questa lunghezza d’onda sia importante ragionare partendo dal ruolo che il pensiero e la sensibilità femminile potranno avere nel mondo del lavoro: molte donne continuano ad alimentare la ricchezza della diversità, anche attraverso la chiave della generatività.
In questo scenario bisogna proporre l’intelligenza vitale del pensiero femminile, sul filo di ciò che le donne sono capaci di fare meglio degli uomini, nonostante un mondo che ancora non rispetta la promessa di pari diritti: empatia, ascolto, cura, relazione e responsabilità.