Il sindacato Usb di Taranto proclama lo sciopero per il rischio di violazione della privacy, ma Fim Fiom e Uilm precisano: il chip è “inattivo” e strumentale solo a lavaggio e sanificazione delle tute
Le nuove tute da lavoro distribuite ai dipendenti da ArcelorMittal, leader globale dell’acciaio che gestisce l’ex Ilva, non sono state accolte con entusiasmo a Taranto.
Gli indumenti di protezione individuale hanno infatti un microchip cucito all’interno, che il sindacatoÈ un’organizzazione che ha il compito di rappresentare e difendere i diritti e gli interessi di categoria dei lavoratori o dei datori di lavoro. More Usb della città (Unione Sindacale di Base) ha messo in discussione, proclamando uno sciopero di 24 ore, il 2 settembre.
I microchip, ha spiegato l’azienda in un verbale, consentiranno di «valutare esclusivamente la tracciabilità e il ciclo di vita delle protezioni individuali, nel rispetto delle normative vigenti in materia».
Più morbida la posizione dei rappresentanti della sicurezza Fim, Fiom e Uilm, i quali non ritengono che le tute rappresentino una violazione della privacy e ci tengono a fare dei chiarimenti sulla questione, confermando che il chip viene inserito, come comunicato da AncelorMittal, «al fine di memorizzare numero di lavaggi, taglia e portineria dove far tornare ogni capo».
«Visionando le schede tecniche di questi ‘tag’ – commentano – abbiamo potuto constatare che sono sistemi normalmente inattivi che vengono attivati a contatto o al massimo a pochi centimetri di distanza nello stesso identico modo dei tesserini di riconoscimento».
A occuparsi della ‘lettura’ dei chip, precisano i rappresentanti in una nota che riporta il Corriere di Taranto, sarà la ditta che si occuperà del lavaggio degli indumenti, eliminando il problema delle tute consegnate per il lavaggio e smarrite. Il chip consentirà inoltre di mettere fuori ciclo gli indumenti che hanno superato il numero di lavaggi previsti dal fabbricante e non possono più essere certificati come D.P.I (dispositivi di protezione) utilizzabili.
Lo scorso maggio infatti, i rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori di Fim, Fiom e Uil avevano segnalato all’azienda la mancanza di D.P.I. a magazzino; inoltre l’avevano diffidata dal continuare a distribuire ai lavoratori tute “rigenerate”, quindi non appartenenti allo stesso operaio, con la probabilità che non avessero più le caratteristiche tecniche e le certificazioni necessarie per assolvere correttamente alle loro funzioni, ad esempio anticalore o antiacido.