Aumentano le dimissioni volontarie per bisogno di benessere emotivo

Un HR controlla dei documenti alla sua scrivania
(foto Shutterstock)

Randstad: cambiano le ambizioni dei lavoratori e le proposte delle aziende. Anche l’HR si evolve e diventa sempre più un mediatore

I direttori del personale tendono a considerarlo un fenomeno più «mediatico» che reale, eppure i dati confermano che le “grandi dimissioni” sono in aumento secondo il 49% degli HR, ma anche secondo il 53% dei candidati. 

Le motivazioni principali sono l’insoddisfazione per la mancanza di gratificazione (47%), la demotivazione (34%) e la mancanza di obiettivi chiari e condivisi (30%).

Lo rivela l’ultima indagine HR Trends & Salary Survey di Randstad, che mette chiaramente in luce come, in questo contesto mutevole, anche il ruolo dell’HR sta cambiando ed è sempre più un ruolo di mediatore.

L’impatto della great resignation

In un’organizzazione su due, secondo lo studio, le dimissioni volontarie hanno avuto un impatto significativo sul mantenimento dei livelli di performance, con ripercussioni sul clima interno.

L’effetto principale riguarda il carico di lavoro, aumentato per il 32% degli HR vs 34% dei candidati. Tra le altre conseguenze il desiderio di emulazione (18% vs 15%), e la demotivazione (17% vs 19%).

A fronte del problema, le aziende hanno messo in moto diverse azioni di talent retention, ma le risposte tra responsabili delle risorse umane e candidati sono discordanti: il 70% degli HR afferma che l’azienda ha cercato di trattenere i talenti, ma solo il 41% dei candidati è d’accordo.

Le principali iniziative di talent retention sono piani per sviluppare le competenze (35%), indagini sul clima interno (29%) e momenti informali di monitoraggio (25%). Per il 27% non è stato introdotto nessun programma. Questo dato si alza nelle risposte dei candidati: il 36%, infatti, afferma che la propria azienda non ha messo in atto alcun piano per trattenere i propri talenti.

 I motivi del malessere: sovraccarico e mancanza di obiettivi chiari

Tutti gli HR individuano nella flessibilità del modello organizzativo la soluzione principale alla soddisfazione dei dipendenti e alla possibilità di essere in linea con le attese delle nuove risorse.

Tuttavia, poco meno di 1 HR su 3 ritiene che le opportunità offerte dalla propria azienda incontrino pienamente le aspettative dei lavoratori, e la quota scende considerando i più giovani. E solo il 34% delle aziende riconosce un buon livello di benessere e serenità nella sua organizzazione (era il 53% nel 2021).

Nel dettaglio, gli elementi di benessere garantiti in azienda sono secondo gli HR soprattutto la sicurezza sul posto di lavoro (62%) e la sicurezza del posto di lavoro (57%), il senso di appartenenza e il work-life balance (entrambi al 47%).

Elementi simili anche secondo i candidati, tra cui però non figura la sensazione di appartenenza. Secondo sia i responsabili Risorse umane che i candidati le principali fonti di malessere organizzativo sono il sovraccarico di lavoro e la mancanza di obiettivi chiari e condivisi.

Ruolo HR, sempre più un mediatore

La metà dei responsabili Risorse Umane su due (49%) è convinta che la rilevanza del suo ruolo aumenterà in futuro, in particolare per la funzione di mediazione che potrà svolgere fra interessi aziendali ed esigenze dei lavoratori.

Il 47% degli HR ritiene che la sua figura rimarrà invariata, mentre solo il 4% ritiene che in futuro sarà meno centrale.

Nonostante questo, la quota di HR soddisfatti del proprio ruolo all’interno dell’azienda è in calo rispetto al 2021, benché ancora maggioritaria (57%). Questa tendenza è legata, almeno in parte, allo scostamento tra opportunità offerte dalla propria azienda e aspettative dei lavoratori.

Le strategie per migliorare l’attrattività

Molti HR sottolineano la crescente difficoltà nell’attrarre il “candidato giusto”, e in particolare nell’essere attrattivi per le generazioni più giovani. Infatti, gli intervistati della Gen-Z considerano attrattive solo il 27% delle aziende e i Millennials il 31%, anche se si rileva un aumento dell’attrattività percepita negli ultimi 24 mesi.

Le strategie messe in campo dalle aziende per lavorare sul tema riguardano i valori (come etica e sostenibilità), i contenuti (come la solidità economica e i piani di carriera) e le partnership.

Nello specifico, la prima leva di attrattività riferita dagli HR risulta essere l’opportunità di crescita (38%), seguita dalla retribuzione adeguata (37%) e il coinvolgimento nella mission aziendale (33%).

«In uno scenario generale di profonda trasformazione» commenta Maria Pia Sgualdino, Head Of Randstad Professionals», «l’HR assume sempre più il ruolo di ‘mediatore’ tra gli interessi dell’azienda e quelli dei lavoratori, operando su tavoli diversi, le cui priorità e richieste sono mutate sia a causa della pandemia, sia per la transizione generazionale.

Quello dell’HR oggi è ruolo strategico, che richiede specifiche competenze, oltre che un riconoscimento organizzativo, che consenta di operare efficacemente in uno scenario sempre più complesso.

Il Responsabile Risorse Umane, infatti, oggi ha anche il compito fondamentale di intervenire sul benessere, sia fisico che mentale nell’organizzazione, tema molto sentito, in particolare tra più giovani, che non sono più disposti a scendere a compromessi su richieste di equilibrio tra vita-lavoro e atmosfera di lavoro piacevole.

L’HR ha il compito di utilizzare il giusto mix di strumenti, dal welfare, allo smart working, alla creazione di ambienti di lavoro che favoriscano il dialogo e la socializzazione, per favorire il benessere emotivo con strategie differenti tra senior e più giovani».

 

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