Coronavirus, le interviste alle aziende: Ericsson

(in foto Giovanni Piccirillo, Responsabile Relazioni Industriali e Normativa del Lavoro di Ericsson Italia)

Giovanni Piccirillo, Responsabile Relazioni Industriali e Normativa del Lavoro di Ericsson Italia, racconta a Laborability come l'azienda sta affrontando l’emergenza coronavirus

In tempi di coronavirus ci sono aziende costrette a sospendere le attività per le misure di sicurezza, per il crollo della richiesta, per riorganizzarsi, altre che procedono a regime ridotto, altre ancora che, producendo beni di prima necessità o svolgendo servizi pubblici essenziali, si ritrovano addirittura a dover gestire un aumento di lavoro.

Noi di Laborability stiamo ascoltando le loro testimonianze per raccontarvi come il mondo del lavoro sta affrontando la crisi provocata dall’esplosione dei contagi da Covid-19.

Abbiamo intervistato Giovanni Piccirillo, Responsabile Relazioni Industriali e Normativa del Lavoro di Ericsson Italia, leader mondiale nella fornitura di tecnologie e servizi per la comunicazione, ancor più essenziali in un momento come questo perché permettono alle persone costrette a rimanere in casa nel rispetto delle misure di sicurezza di comunicare e lavorare a distanza.

Ericsson fornisce servizi, software e infrastrutture in ambito Information & Communication Technology (ICT) a operatori di telecomunicazioni e altre aziende; e ogni giorno il 40% del traffico mobile mondiale passa attraverso le sue reti. È presente in 180 paesi, con quasi 100.000 dipendenti nel 2019.
Ericsson è fortemente impegnata in attività di Ricerca e Sviluppo, facendo registrare risultati di eccellenza a livello mondiale con oltre 54.000 brevetti nelle telecomunicazioni.

Giovanni Piccirillo, come sta affrontando l’emergenza coronavirus Ericsson Italia? Quali misure avete preso e a partire da quando? 

«In Ericsson si è insediato un comitato di crisi locale che, in relazione ai provvedimenti progressivamente emanati dal Governo e dagli enti locali competenti per territorio sulle nostre sedi, si riunisce ogni giorno per determinare ed aggiornare costantemente le linee guida da osservare, nell’ottica di contemperare al meglio la primaria esigenza di tutela della salute del nostro personale con quella di business

Poiché il nostro Gruppo in Italia rappresenta la local company della multinazionale svedese Ericsson, ci atteniamo naturalmente anche alle disposizioni provenienti dal Comitato di Crisi a livello globale, vista l’estensione ormai planetaria del coronavirus.
Le prime misure adottate hanno riguardato in via precauzionale, dal 24 febbraio 2020, la restrizione sulle trasferte di lavoro da e per l’Italia e nell’intero territorio nazionale.

A seconda, poi, del livello di estensione del contagio e delle misure predisposte dal Governo, l’azienda ha raccomandato a tutto il personale di operare da remoto in smart working, pur mantenendo formalmente aperte le sedi di lavoro, accessibili, tuttavia, solo dietro specifica autorizzazione del direttore Risorse Umane, Laura Nocerino.
Questa modalità di prestazione lavorativa non è stata contemplata per i cosiddetti tecnici “in campo”, in quanto rientranti tra il personale che svolge attività classificate tra i cosiddetti servizi pubblici essenziali, impegnato h24 nella risoluzione di criticità nelle reti dei nostri clienti, primari operatori nazionali di telecomunicazioni. 

La nostra azienda ha inoltre deciso di rendere effettivo quanto previsto dai decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri in merito alla possibilità, tra gli altri strumenti attivabili, di collocare in ferie il personale durante questa fase di emergenza.
A partire dal 16 marzo e fino al 3 aprile 2020 i dipendenti che dispongono di un backlog di ferie e, in mancanza, di un backlog di permessi, stanno osservando giorni di astensione dal lavoro, la cui numerosità è stata valutata per ogni singola risorsa in funzione dell’attività svolta e degli impatti sul business».

Lo stato di emergenza, che ormai si sta prolungando nel tempo, quali ripercussioni ha avuto per voi? 

«Stiamo cercando di fronteggiare al meglio questa situazione che, essendo mai prima d’ora verificatasi, e non ancora del tutto manifesta soprattutto nelle potenziali ripercussioni, ci ha posto nella necessità di prendere decisioni conseguenti e non rientranti nel carattere ordinario delle cose. Pur tra qualche difficoltà di tipo logistico, l’operatività continua. Sono convinto che al termine di questa delicata fase riusciremo a guardare comunque al futuro con ottimismo maggiore di quanto comprensibilmente siamo indotti a pensare in questi giorni. Di sicuro la voglia di ritornare presto alla normalità non manca affatto». 

Quali conseguenze pensa possa causare per voi questa situazione a lungo andare? E per il mercato italiano? 

«Come tutte le aziende italiane, a prescindere dal settore merceologico di appartenenza, viviamo queste settimane con una misurata e comprensibile dose di apprensione. Allo stesso tempo, però, siamo convinti di avere le persone giuste e la determinazione necessaria per riprendere, anzi, se possibile, per migliorare gli standard operativi messi alla prova da queste circostanze eccezionali e non prevedibili. 

Proprio questo, tuttavia, è il momento in cui bisogna cominciare seriamente a porre le basi per costruire un sistema Paese scevro da antagonismi e personalismi di sorta, ma che veda tutti gli attori istituzionali e le parti sociali convergenti verso un unico obiettivo: risalire presto la china.
Enti locali, organizzazioni datoriali e sindacali, associazionismo: ognuno deve fornire il proprio contributo. Sono curioso di verificare la portata della concreta applicazione delle misure che il Governo ha predisposto in materia di ammortizzatori sociali per le aziende, di sostegno alle piccole realtà imprenditoriali, di sussidio alle famiglie

Sperando di non essere smentito, intravedo qualche timido tentativo nel cominciare ad affrancarci dalla burocrazia, che considero la peggiore zavorra da cui l’Italia deve presto liberarsi definitivamente per recuperare elevati livelli di produttività interna e di competitività sul mercato internazionale».

Quanti dipendenti lavorano per Ericsson Italia? Come stanno vivendo la situazione? 

«Nel nostro Paese, dove opera dal 1918, Ericsson è oggi presente con circa 3.000 professionisti per fornire tecnologie e servizi ai principali operatori di telecomunicazioni, operatori regionali e imprese pubbliche e private.
Oltre a Roma, sede legale delle tre società del Gruppo in Italia, Ericsson presidia diverse città con sedi commerciali e centri di eccellenza in attività di Ricerca e Sviluppo e attualmente è in prima linea nello sviluppo del 5G, come già avvenuto per tutte le precedenti tecnologie mobili. 

Le nostre risorse, il vero asset strategico di Ericsson, stanno vivendo questa situazione con un grosso senso di responsabilità e con un attaccamento alla propria azienda se possibile ancora più grande. Tutti sono consapevoli del particolare momento che stiamo attraversando, sia dal punto di vista professionale che personale, in cui si riscoprono e si costruiscono equilibri anche all’interno delle nostre famiglie mai vissuti prima d’ora». 

Come avete gestito la misura richiesta dal Governo di mettere in smart working i dipendenti che possono lavorare da casa? 

«Nel modo più naturale possibile. Già da qualche anno, infatti, Ericsson ha adottato lo smart working come una modalità tipica di prestazione dell’attività lavorativa, concedendo tale possibilità a tutto il personale su base volontaria, ferme restando le esigenze tecniche, organizzative e produttive e a prescindere dall’inquadramento contrattuale. Abbiamo condiviso il percorso con le organizzazioni sindacali, raggiungendo un accordo sia per disciplinare la fase sperimentale che quella a regime, che è stato preso a riferimento da altre società del settore TLC e non solo. 

Nella fattispecie, quindi, abbiamo recepito senza grossi contraccolpi la misura del Governo, invitando a lavorare da remoto fino al prossimo 3 aprile i dipendenti che non vi avevano ancora aderito e che avessero attività compatibili con l’effettuazione delle stesse in modalità smart working presso il proprio domicilio. Ciò non ha riguardato, come già precedentemente specificato, i tecnici “in campo”». 

 

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