L’azienda Furhat Robotics punta sull’“intelligenza artificiale socializzante” per evitare le discriminazioni nella selezione del personale
Il recruiter del futuro si chiama “Tengai”, è un piccolo robot dalle sembianze umane, ideato per essere posizionato su un tavolo, guardare negli occhi il suo interlocutore e soprattutto avere con lui un dialogo. È alto 41 cm per 3,5 kg di peso ed è stato inventato da Samer Al Moubayed, ingegnere siriano profugo di guerra che ha lavorato anche in Disney, e progettato da una società svedese che si occupa di intelligenza artificiale e social robot, la Furhat Robotics, di cui il giovane è co-founder e CEO.
L’azienda, nata come start-up presso il KTH Royal Institute of Technology di Stoccolma, dopo quattro anni di lavoro ha sviluppato una piattaforma robotica in grado di simulare mimica ed emozioni di tipo umano.
Il “social” robot Tengai, anzi “la” trattandosi di un robot con volto e voce femminili, svolgerà la funzione di recruiter nel primo step di selezione del personale, con l’obiettivo di evitare discriminazioni, senza farsi influenzare da etnia, sesso, orientamento religioso, look e linguaggio del corpo dell’intervistato.
Con un tono di voce naturale e rilassato, farà le stesse domande a tutte le persone che si troverà di fronte, in modo imparziale, senza pregiudizi e simpatie. E raccoglierà tutte le risposte, che verranno poi trascritte e visionate dai responsabili aziendali in carne e ossa.
Tengai può inclinare la testa e annuire. Il suo viso si illumina, sorride, sbatte le palpebre ed è in grado di mantenere il contatto visivo. Cerca di evocare empatia nelle persone puntando a rendere l’interazione umano-androide il più naturale e coinvolgente possibile.
Il suo impiego è previsto per il mese di giugno 2019 presso il municipio di Upplands-Bro in Svezia, per la selezione di un coordinatore digitale.
Affascinante per alcuni e inquietante per altri, la comunicazione uomo-macchina è in continua evoluzione e vedrà crescere la sua presenza nella vita di tutti i giorni.
In futuro la nostra interazione con i dispositivi sarà sempre più frequente. La stiamo già sperimentando quotidianamente dando ordini ai dispositivi digitali, dai quali possiamo a nostra volta essere interrogati.
Da qui, il passo dall’intelligenza artificiale all’intelligenza emotiva artificiale si sta facendo via via più breve. Interagendo, i robot simulano le emozioni, pur non provandone, le inducono e se ne servono, avvicinandosi sempre di più al piano umano, allargando progressivamente il loro potenziale utilizzo anche in settori occupazionali dove l’azione umana sembrava prima indispensabile.
Un esempio di robot recruiter al lavoro (video youtube.com/Furhat Robotics)
Samer Al Moubayed, co-founder & CEO di Furhat Robotics, illustra il funzionamento del robot (video youtube.com/Tech news)