Il ruolo degli HR nel futuro delle aziende. Dialogo con Luca Grazioli

Luca Grazioli-Head HR Department Autostrada del Brennero
(In foto Luca Grazioli, Head HR Department Autostrada del Brennero)

Gli HR manager sono il punto di equilibrio di ogni realtà aziendale, e il fulcro dello sviluppo. L’esperienza di Luca Grazioli, Head HR Department Autostrada del Brennero

    Attualmente Head HR Department Autostrada del Brennero, e Direttore del Centro Studi di SHR Italia, Luca Grazioli ha un’esperienza consolidata nell’ambito HR, e una formazione in management legata all’acquisizione dei valori che il ruolo di dirigente incorpora. Valori etici, legati alla responsabilità individuale e sociale d’impresa, ma anche valori aggiunti, come la capacità di prendere decisioni, di leggere scenari, di assumersi rischi e di valutarne gli impatti. La sua testimonianza sul mondo HR evidenzia il ruolo cruciale degli HR manager all’interno di ogni organizzazione. 

    Qual è il ruolo degli HR manager nelle aziende, e come incide nel loro sviluppo?

    «Negli ultimi 10 anni il ruolo degli HR ha subito una grande trasformazione, e oggi gli HR manager sono sempre di più di supporto diretto alle strategie e all’organizzazione che una società si vuole dare. Nelle aziende coesistono i Ceo e i Cfo, e in mezzo a queste due figure forti e strategiche si inserisce l’HR, come elemento di equilibrio e intermediazione. Gli HR hanno contemporaneamente il compito di introdurre in azienda professionalità con competenze specifiche e necessarie, e quello di bilanciare i costi e le leve economiche di cui ogni azienda deve tener conto. Un HR deve saper leggere bene le richieste aziendali e saper inserire le persone giuste al posto giusto. Servono persone che sappiano stare in azienda, e muoversi all’interno dell’organizzazione». 

    Quali sono le nuove sfide che gli HR devono affrontare oggi?

    «Le sfide sono tantissime, e tutto passa attraverso i processi di trasformazione che coinvolgono le persone. È difficilissimo inserire il manager giusto al posto giusto: i candidati possono aver maturato moltissime competenze, ma non avere la capacità di adattamento e, appunto, di interpretare le situazioni. L’HR deve essere sempre connesso con la realtà che lo circonda, deve avere una grande capacità diplomatica per gestire, da una parte, i rapporti con i lavoratori, e dall’altra quelli  con i vertici aziendali».

    In che modo un HR deve affrontare la presenza di nuove professionalità, e il tema dell’integrazione tra generazioni nel contesto aziendale?

    «Ci troviamo in una fase di cambiamento generazionale molto profonda. Tra i temi importanti in quest’ambito vi è  l’introduzione di nuove figure diverse e di nuovi lavori legati ad esse. Vanno creandosi figure nuove, che fino a ieri non c’erano: pensiamo ai riders, figure professionali prima inesistenti, con funzioni non più declarate dal contratto, che impongono agli HR una gestione completamente nuova. Si pensi, ad esempio, alla tecnologia: servono persone che gestiscano nuovi strumenti digitali, come ad esempio i processi di dematerializzazione della carta. Questa trasformazione prevede un’attività di sviluppo e formazione che è in capo agli HR. Per quanto riguarda le giovani generazioni, rilevo in loro una maggior preparazione rispetto a un tempo, ma i giovani appaiono generalmente meno ambiziosi e con meno aspettative di carriera rispetto agli anni addietro. Manca la determinazione a voler crescere, a voler assumere ruoli di responsabilità e, in questo, gli HR li possono sicuramente sostenere e accompagnare in un percorso di crescita professionale».

    Che caratteristiche dovrebbe avere un HR, secondo lei?

    «Si tratta di un ruolo difficile e importante. L’HR dovrebbe essere colui che governa i processi. Non ci si inventa HR, in questa professione non ci si improvvisa. E credo che, al di là delle competenze di studio acquisite e alle caratteristiche caratteriali, l’elemento fondamentale in questo contesto sia una sorta di vocazione ad occuparsi delle risorse umane».

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