La diversity come valore: STEF dà vita al progetto “Ladies First”

(In foto: Chiara Isoppo, ‎responsabile Selezione, formazione e sviluppo risorse umane in STEF)

L'iniziativa mira a dare alle collaboratrici uno spazio di confronto, condivisione e ascolto, al fine di creare consapevolezza sul tema della “diversity” e della “leadership gentile”

Identificare la diversity quale importante area di valorizzazione, e volervi dare voce attraverso il contributo e le esperienze delle collaboratrici. Questo l’obiettivo di “Ladies First”, progetto promosso da STEF, multinazionale europea nel settore dei trasporti e della logistica di prodotti agroalimentari a temperatura controllata. Ne parliamo con Chiara Isoppo, ‎Responsabile Selezione, formazione e sviluppo risorse umane.

Segnaliamo che questo articolo fa parte della campagna “WI LOVE EQUALITY – promossa dallo studio legale WI LEGAL SHR Italiain collaborazione con laborability – che sostiene la gender equality promuovendo un atteggiamento etico ed equo nel mondo del lavoro. Attraverso l’informazione, con articoli, video interviste e appuntamenti, ci impegniamo a sostenere cause giuste e inclusive per guardare a un futuro migliore.

WI LOVE EQUALITY

Come nasce il progetto Ladies First?

«Ladies First, nome eccezionale scelto dal nostro direttore Risorse Umane Gianfranco Cocchi, è nato a valle di un’importante iniziativa di analisi di clima aziendale che STEF Italia ha deciso di sviluppare nel 2018. Alla base di questa idea c’era la volontà, da parte dell’azienda, di comprendere come i propri collaboratori/collaboratrici vivessero gli spazi di lavoro, percepissero la qualità delle relazioni aziendali. Volevamo inoltre comprendere se, all’interno del contesto aziendale, si evidenziassero situazioni di discriminazione rispetto a differenza di genere, cultura e condizioni di handicap. Volevamo infine rilevare quali, tra i quattro valori aziendali STEF (rispetto, rigore, entusiasmo, performance), fossero maggiormente importanti ed effettivamente praticati in azienda».

Cos’è emerso dalla survey?

«Ad esempio, che una minima percentuale di persone rilevava situazioni di discriminazione di genere. Non potevamo, dunque, non dare voce a questa narrazione e approfondirla. Come direzione Risorse Umane, ci siamo interrogati su cosa potessimo fare, concretamente, per affrontare quanto emerso. Volevamo comprendere il problema e analizzarne le forme, per poi agire proattivamente, stimolando una cultura aziendale che valorizzasse la “diversity” come atout proattivo di confronto e promotore di sinergia collaborativa».

 In che cosa consiste il progetto Ladies First? A quante donne si è rivolto?

«Siamo partiti nel 2019, grazie alla preziosa consulenza della dottoressa Paola Lazzarini della società Cegos, che collabora attivamente con STEF dal 2011.

La fase di progettazione è stata fondamentale per mettere a terra le linee guida e definire il perimetro di ascolto ed azione che ci avrebbero portato a traguardare i nostri obiettivi.

L’avvio è stato preceduto dalla somministrazione di un questionario, rivolto alle 240 professioniste di STEF in Italia, attraverso il quale siamo andati ad approfondire temi di comunicazione, management e motivazione personale».

Quali obiettivi vi siete posti?

«Innanzitutto, non volevamo che questo progetto si traducesse in un manifesto al femminile o femminista, in una ricerca di “quote rosa” all’interno dell’azienda. Volevamo, piuttosto, parlare con le professioniste STEF. Comprendere il loro vissuto e la loro consapevolezza di ruolo all’interno di un settore e di un contesto aziendale tipicamente maschili (la popolazione femminile, in STEF, è infatti circa il 30%, sia a livello italiano che europeo), e la  percezione personale della loro professionalità. Abbiamo cercato di sensibilizzarle sui valori della femminilità nello specifico contesto aziendale, e di fornire loro strumenti utili per valorizzare la loro persona e la loro professionalità. Tra gli altri obiettivi preposti: la condivisione di esperienze di conciliazione vita personale e professionale; la creazione di un senso di community; la crescita della consapevolezza riguardo alla “diversity” quale ricchezza ed occasione di opportunità».

Come li avete tradotti, nella pratica?

«Nel 2019 abbiamo creato i primi due laboratori di scambio, formazione e lavoro, all’interno dei quali abbiamo accolto 15 professioniste ciascuno. Le collaboratrici sono state invitate a partecipare al progetto sulla base della propria autocandidatura, provenienza geografica, età, anzianità professionale, condizione familiare (mamme o professioniste senza figli), al fine di creare un campione omogeneo di presenza. Ciascun laboratorio è stato sviluppato su tre giornate, le prime due di formazione, la terza puramente laboratoriale.

L’apertura è stata dedicata all’ascolto delle esperienze personali delle professioniste, che  hanno evidenziato non tanto effettive situazioni di discriminazione, quanto la presenza di stili comunicativi e comportamentali tipicamente afferenti alla differenza di genere, ma non per questo denigratori, penalizzanti o ad impatto negativo.

Successivamente abbiamo avviato una riflessione sullo scenario mondiale della condizione della donna al lavoro nel contesto macroeconomico attuale.

I contenuti formativi sono stati aperti dal concetto della “leadership gentile”, fil rouge che ha legato tra loro i temi della comunicazione efficace, negoziazione, assertività, consapevolezza personale (attraverso l’utilizzo di testistica specializzata), personal branding e female empowerment. La terza giornata, infine,  ha  chiamato le partecipanti a lavorare concretamente su uno dei temi trattati, spesso il più ricorrente e condiviso, percepito come necessario al miglioramento personale e di team».

 Il progetto è andato avanti nel tempo?

«Sì. Nel 2020, nonostante la crisi sanitaria e rispettando quanto necessario in termini di distanziamento sociale, siamo riuscite a sviluppare un terzo laboratorio, in cui hanno partecipato altre 13 professioniste. In totale, dunque, abbiamo  dedicato questa opportunità a 43 colleghe, diventate oggi autentiche ambasciatrici di Ladies First in STEF».

Quali sono i vantaggi concreti percepiti dalle donne che hanno partecipato al progetto?

 «Il progetto, almeno inizialmente, ha suscitato qualche resistenza e scetticismo, soprattutto da parte del mondo aziendale femminile. Alcuni pensavano davvero che potesse trasformarsi in uno scontato manifesto al femminile, una sorta di propaganda degli intenti ma poco concreta e identitaria. La nostra risposta è stata, nonostante tutto, il coraggio, la tenacia, l’onestà, la sensibilità, l’apertura, con cui abbiamo portato avanti il nostro “Ladies First”. Dare seguito alle proposte avanzate all’interno dei progetti, presentarle alla direzione ha dato credibilità al progetto. La condivisione dell’esperienza, da parte delle professioniste che vi hanno partecipato, ha fatto sì che altre donne si siano avvicinate con entusiasmo e curiosità, motivate a dare voce e contributo alla loro esperienza».

In che modo è stato percepito il progetto dalla direzione aziendale?

«Abbiamo ricevuto pieno appoggio e sostegno da parte della direzione aziendale, che con grande curiosità e interesse ha approvato i progetti presentati. E continua a confermare l’importanza, l’innovatività e la necessità del nostro “Ladies First”. Un indiscutibile traguardo di forma e di sostanza per chi vi ha lavorato».

Pensate sia utile continuare il progetto? Se sì, perché?

«Certamente sì, lo consideriamo un “the best” nel nostro piano formativo. Perché? Perché è un tema fondante, innovativo, di attualità, sinonimo per l’azienda di attenzione, cura e intelligenza sociale. E siamo certe/certi che possa diventare un esempio sul mercato anche per aziende che, come noi, hanno necessità di comprendere, valorizzare e celebrare il lavoro al femminile».

Ci sono state modifiche nella gestione dei rapporti di lavoro con le donne da parte dell’ufficio HR? È stato necessario modificare policies, regolamenti e altro?

«STEF è  attenta da sempre alla cura delle proprie risorse umane, indipendentemente dal genere. Dunque, non si è ritenuto necessario modificare qualche pratica o policy. Abbiamo, per contro, pensato di poter integrare nel nostro “Codice etico aziendale” alcuni richiami al concetto di “diversity”. Non per “sfidare” quello esistente, bensì per integrarlo con valutazioni e viste squisitamente femminili, destinate anche a migliorare e potenziare il rapporto fra uomini e donne in STEF».

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