Le aziende hanno un anno di tempo per inserire nel proprio board almeno una donna e una persona rappresentante di una minoranza razziale o della comunità Lgbtq
L’inclusione come priorità, anche per Wall Street. Il 6 agosto 2021 la Securities and Exchange Commission, ente con funzioni analoghe alla Consob italiana, ha approvato la proposta avanzata a dicembre scorso dal Nasdaq (il listino dei titoli tecnologici della Borsa di New York) per tutelare la diversity all’interno delle società quotate.
Il piano prevede ad esempio che le quasi 3 mila società che partecipano al listino abbiano nel proprio Consiglio di Amministrazione almeno una donna, una persona appartenente a una minoranza razziale o che si identifichi nella comunità Lgbtq (gay, lesbica, bisessuale, transgender o queer). La nuova politica richiede inoltre alle aziende di divulgare pubblicamente le statistiche sulla composizione demografica dei loro consigli di amministrazione.
La regola, tuttavia, si applica solo alle società che abbiano più di 5 membri del cda: per le altre, con un numero di membri inferiore a 5, basterà un solo rappresentante che rientri in una delle categorie elencate. Le aziende “ribelli”, che non si conformano alla politica su diversity e inclusion, non verranno delistate ma dovranno spiegare pubblicamente le ragioni per cui non rispettano i criteri richiesti. La deadline per adeguarsi alla nuova politica è fra un anno.
«Queste regole» ha spiegato in una nota il presidente della Sec, Gary Gensler, «consentiranno agli investitori di acquisire una migliore comprensione dell’approccio delle società quotate al Nasdaq alla diversità. Garantendo al contempo che le aziende abbiano la flessibilità necessaria per prendere decisioni che servano al meglio i loro azionisti».
In generale le aziende, non solo americane, negli ultimi anni hanno iniziato ad occuparsi con più attenzione dei temi attinenti alla diversity e all’inclusion. In Italia, secondo un’indagine di Istat e Unar, nel 2019 il 20,7% delle aziende ha adottato almeno una misura non obbligatoria per legge con l’obiettivo di gestire e valorizzare le diversità tra i lavoratori legate a genere, età, etnia, convinzioni religiose o disabilità. E il 5% ha adottato misure specifiche per i lavoratori Lgbt. Le misure maggiormente adottate sono quelle destinate ai lavoratori transgender: per loro, il 3,3% delle imprese ha previsto la possibilità di usare servizi igienici, spogliatoi, ecc. in modo coerente con la propria identità di genere.
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