I bisogni delle persone vengono prima dei risultati di business. La storia di Giulio Natali, HR Director di Fater Group
Giulio Natali si laurea all’Università degli Studi di Macerata e successivamente consegue il Master in Human Resources Management all’Istituto per la Formazione Ricerca Studi Sociali. La sua passione per l’ambito HR è andata costruendosi nel tempo, attingendo alle esperienze diverse, vissute in realtà aziendali molto differenti anche nell’approccio stesso alla gestione delle risorse umane. Oggi è HR Director di Fater Group e ha molto da raccontare sull’evoluzione che l’ambito HR sta attraversando.
Ci racconti il percorso che l’ha portata al mondo HR.
«Ho iniziato in HR vent’anni fa. Un percorso lungo, con responsabilità crescenti. Non ho iniziato in una scuola manageriale, ma in un’azienda marchigiana nel mondo della calzatura, e successivamente mi sono creato dei percorsi appositi per la gestione delle risorse umane. Mi sono messo molto in discussione, ma tutto ciò che ho imparato l’ho raggiunto osservando sul campo, e lavorando concretamente. In Fater stessa, sto ancora imparando, è un approccio molto impegnativo, che mi permette di imparare continuamente».
Qual è la sua esperienza all’interno di Fater Group?
«Fater è un’azienda particolare, frutto di una joint venture tra due realtà molto diverse fra loro, che hanno trovato punti di condivisione molto profondi. È una società partecipata da Angelini e Procter & Gamble, che ha una visione di lungo periodo, e unisce l’esperienza e i principi di un’azienda in origine familiare, quindi naturalmente più incline ad un rapporto diretto con collaboratori e dipendenti, ad una prospettiva più orientata al risultato, caratteristica della multinazionale. Fater ha l’obiettivo di diventare employer of choice, ovvero rappresentare un luogo di lavoro ideale per i suoi dipendenti e per tutti i possibili candidati. Trovo questa visione molto appassionante, e in linea con la mia concezione di HR».
Come si traduce questo approccio?
«La strategia fondamentale dell’azienda è “people first”, indipendentemente dal tema dei risultati aziendali: i bisogni delle persone vengono prima dei risultati di business. Pensiamo che il business andrà comunque bene, semplicemente perché all’interno dell’ambiente lavorativo ci sono delle persone che sono già felici. In ambito HR questo significa realizzare processi che partono dall’ascolto delle persone: il listening è uno dei pilastri del people first, e da qui parte qualsiasi iniziativa orientata al benessere delle organizzazioni».
In Fater come avete declinato il people first?
«Abbiamo realizzato percorsi legati al welfare, come l’introduzione del maggiordomo aziendale. In pratica, un servizio che si prende cura delle esigenze anche personali dei dipendenti, ad esempio portando a termine commissioni amministrative e altre incombenze, permettendo così un tempo lavorativo e di vita di maggior qualità. Abbiamo dato la possibilità di frequentare palestra e piscina gratuitamente per 6 mesi all’anno, previsti i permessi di paternità fino ad un mese dopo la nascita, e stabilite sovvenzioni per l’asilo nido. Ma, soprattutto, ci stiamo concentrando su un concetto di smart workingÈ una nuova modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, introdotta dalla l. 81/2017 e caratterizzata dall’assenza di precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro per il dipendente. More avanzato: ognuno può lavorare dove, come e quando vuole, e la sede deve diventare un luogo dove ci si reca volentieri. Da qui l’idea di mettere a disposizione tutti i servizi possibili per rendere bello e accogliente l’ambiente lavorativo. In questo modo il posto di lavoro diviene un luogo dove si creano occasioni di mentoring e condivisione».
Quali sono le caratteristiche necessarie, a suo avviso, per affrontare il mondo HR?
«Serve avere interesse alle persone nel loro complesso, e avere l’opportunità di lavorare in contesti che considerano fondamentale questo approccio. Ho lavorato in sei aziende, e ci sono altrettanti modi diversi di occuparsi di HR. Non si può dare una risposta onnicomprensiva, molto dipende dalla strategia che ha il top management: se il people first è centrale bene, altrimenti l’approccio cambia. Facendo un esempio concreto, sempre di più le aziende si affidano a piattaforme per feedback 360. Si trova in tutte le aziende evolute, ma non sta funzionando. Perché? Perché abbiamo preso l’abitudine di affidarci ai tools, e ascoltiamo sempre meno le persone. Credo che nell’ambito HR sia indispensabile trovare un equilibrio tra l’utilizzo delle nuove tecnologie e il mantenimento di una dimensione umana. Forse qualche minuto di ascolto diretto nei confronti di un gruppo di persone possono essere più utili rispetto all’elaborazione di un questionario compilato al pc».