Parità di genere, i punti su cui lavorare

(foto Shutterstock)

Molte aziende hanno un alto numero di donne o buone politiche per la genitorialità, ma non basta. L’avvocata Elisa Pavanello spiega come prepararsi alla certificazione

La certificazione della parità di genere sta stimolando molte aziende a misurarsi con la questione della gender equality: un passo importante per un paese come l’Italia, dove sul fronte della parità siamo ancora molto indietro. Ne parliamo con Elisa Pavanello, Partner e Avvocata di WI LEGAL e promotrice del progetto WI LOVE EQUALITY

Qual è la situazione in Italia, per quanto riguarda la parità di genere?

Secondo alcuni studi, per raggiungere parità di genere nel mondo del lavoro, in Italia, mancano ancora 60 anni. Sicuramente se ne parla molto e già questo è positivo, anche il fatto stesso che ora sia possibile certificare la parità di genere in azienda è stato di stimolo per molte realtà che hanno deciso di misurarsi con questa sfida. 

In generale si sta muovendo qualcosa, ma difficilmente questo movimento è spontaneo: le persone si attivano nel momento in cui arriva una spinta, che può essere un incentivo o la necessità di adeguarsi a nuove normative”. 

A proposito di certificazione della parità di genere, di cosa si tratta?

“La certificazione è stata introdotta in Italia dalla Legge n. 162 del 5 novembre 2021. Si tratta di una misura volta a promuovere una maggior consapevolezza sul tema della gender equality, in linea con la Missione 5 “Inclusione e Coesione” del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR).

La normativa ha introdotto un procedimento che consente alle aziende di ottenere una certificazione di durata triennale, ma ogni anno l’ente certificatore ha il compito di verificare che gli standard siano mantenuti. 

Sei sono le aree di valutazione: il percorso di audit prevede una valutazione per capire se l’azienda ha raggiunto le percentuali minime in ciascun parametro indagato, dove sta lavorando bene e dove invece può migliorare”. 

La procedura è lunga?

“Non direi. La valutazione da parte dell’ente certificatore è, anzi, piuttosto rapida: il passaggio più impegnativo è quello a monte, per capire se ci sono i prerequisiti per affrontare il percorso di certificazione. 

Se, ad esempio, un’azienda è molto lontana dai valori minimi per superare l’audit non ha senso affrontare il percorso di certificazione. Meglio analizzare la situazione in via preliminare e lavorare per arrivare preparati all’esame”. 

Di solito le aziende italiane dove incontrano più difficoltà?

“In generale molte aziende sono attente alle politiche per la famiglia, alla conciliazione casa lavoro, ai percorsi di reinserimento e di crescita per le persone che hanno avuto figli. Sul tema del welfare e della flessibilità c’è molta attenzione. 

Incontriamo invece più criticità per quanto riguarda l’effettiva governance dell’azienda e i progressi di carriera: le donne in posizioni apicali sono ancora pochissime. Non penso solo alle amministratrici delegate, ma anche alle dirigenti. Spesso, inoltre, si rilevano ancora differenze salariali a parità di ruolo”. 

Da dove può partire un’azienda che desidera certificarsi?

“Sicuramente da un’accurata analisi preliminare che permette di capire qual è il punto di partenza. Ad esempio, non basta avere delle buone politiche per la famiglia o un alto numero di donne lavoratrici: bisogna andare a verificare quali posizioni ricoprono queste donne, qual è la loro retribuzione, quale percorso di carriera hanno sostenuto. 

Come studio legale WI LEGAL, attraverso il progetto WI LOVE EQUALITY facciamo proprio questo: valutiamo a 360 gradi la maturità dell’azienda e la accompagniamo attraverso un percorso di consapevolezza, in modo da poter valutare azioni mirate a migliorare il posizionamento in relazione alle aree di valutazione e ai KPI indagati dall’ente certificatore”. 

In concreto, cosa può fare un’azienda per migliorare il posizionamento?

“Dipende dalle necessità. Noi per esempio possiamo fornire un contributo per quel che riguarda la riformulazione delle procedure/processi HR in ottica inclusiva. Oppure predisporre, secondo le necessità aziendali, regolamenti di lavoro ibrido, flessibile e di smartworking. Effettuare valutazioni in ordine al livello retributivo e al gender pay gap aziendale.

A partire dal percorso di valutazione iniziale, potrebbe emergere anche che l’azienda ha bisogno di lavorare più sull’aspetto di formazione e su specifici interventi a favore della genitorialità. In questo caso possono intervenire altri attori, ad esempio Lifeed, la società di Education technology che attraverso la sua piattaforma digitale trasforma le esperienze di vita in competenze professionali. 

Lifeed offre consulenza e soluzioni per ciò che riguarda la valorizzazione delle naturali competenze di mamme e papà, la crescita umana e professionale delle persone e il miglioramento del benessere aziendale”. 

A che punto è la tua azienda?

Se per lavoro ti occupi di definire politiche di parità di genere e di Diversity & Inclusion all’interno della tua azienda, sai bene quanto può essere lungo il percorso che porta alla certificazione.

Proprio per aiutarti a capire a che punto è la tua organizzazione, abbiamo creato un veloce assessment. Rispondi a poche domande per ricevere un consiglio dai nostri esperti.

 

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