Coronavirus, le interviste alle aziende: 3M

(in foto Maurizio Asti, HR Manager South East Europe di 3M)

Maurizio Asti, HR Manager South East Europe di 3M, racconta a Laborability come la multinazionale sta facendo fronte all’emergenza in Italia

Oggi vi raccontiamo come 3Mmultinazionale presente in più di 200 paesi con 91.000 dipendenti, sta gestendo la crisi provocata dal coronavirus.

L’azienda – il cui logo abbiamo certamente già visto tutti stampato sulle mascherine di protezione, soprattutto in questo difficile momento storico di emergenza sanitaria – si occupa di innovazione, ricerca e produzione, operando in molti settori: dalla salute all’industria, all’elettronica, a energia, sicurezza, grafica, oil&gas, automotive, trasporti, design e consumo.

Fondata nel 1902 in Minnesota, 3M oggi è presente in tutto il mondo.
In Italia è in attività da più di 60 anni con diverse sedi: un headquarter ecosostenibile a Pioltello-Milano, un centro di distribuzione a Carpiano (Milano), unità produttive a Grassobbio (Bergamo), Marcallo con Casone (Milano), un laboratorio certificato nel settore elettrico, e una sede a Roma a palazzo Odescalchi. Fa leva su 51 piattaforme tecnologiche che forniscono servizi e soluzioni a tutti i clienti globali.

Insieme a Maurizio Asti, HR Manager South East Europe di 3M abbiamo parlato di come la multinazionale sta affrontando le problematiche provocate dal coronavirus.

Maurizio Asti, come vi siete organizzati internamente in 3M in questo momento di emergenza? E come avete coniugato l’aumento della richiesta di prodotti, come ad esempio le mascherine, e il conseguente incremento di lavoro, con le misure di tutela della salute e della sicurezza per il personale?

«Abbiamo cominciato a lavorare su un piano di gestione della crisi del coronavirus con diverse settimane di anticipo rispetto all’effettiva manifestazione dello stesso nel nostro paese. Chiaramente abbiamo fatto leva su una serie di linee guida corporate che ci sono arrivate dalla casa madre, ma soprattutto abbiamo potuto beneficiare dell’esperienza maturata dai nostri colleghi cinesi, i quali sono stati estremamenti utili nel calare le linee guida stesse nella realtà quotidiana, che è sempre diversa nel momento in cui il rischio si manifesta in maniera puntuale.

Abbiamo seguito due linee di azione molto importanti: la prima,  tutta interna, volta a garantire la salute e la sicurezza dei nostri dipendenti, elemento fondamentale per noi, e la seconda invece legata a tutti gli sforzi che potevamo mettere in campo per supportare le istituzioni per garantire la salute pubblica.
È chiaro che essendo noi direttamente impattati dalla crisi per la tipologia di prodotti che mettiamo sul mercato, chiamati in causa in quanto produttori di prodotti per la sicurezza, abbiamo fatto di tutto per poter incrementare il livello di produzione ad esempio di mascherine e respiratori, ma soprattutto anche per agevolare l’importazione delle stesse sul territorio nazionale lavorando sulla nostra supply chain.

Quali azioni avete messo in campo a tutela dei dipendenti? 

«In Italia abbiamo una realtà piuttosto complessa perché abbiamo sia siti produttivi, sia una direzione amministrativo-commerciale, sia una forza vendita sul territorio nazionale e una forza tecnica che supporta la nostra clientela.
Per ciascuna di queste strutture abbiamo dovuto identificare i mezzi migliori per poter tutelare la salute dei nostri dipendenti, alla luce dell’evoluzione della diffusione del virus da una parte, ma soprattutto alla luce delle indicazioni che provenivano di volta in volta dai vari decreti governativi.

Tanto per cominciare, per quanto riguarda la direzione commerciale abbiamo deciso di far lavorare da casa i dipendenti immediatamente. Nel corso degli ultimi anni abbiamo già introdotto lo smart working: i dipendenti erano già piuttosto preparati a gestire le attività da casa, quindi è stato molto semplice muoversi in quella direzione, estendendo la possibilità di lavorare da casa in maniera pressoché indefinita.
Abbiamo cancellato tutte le trasferte sul territorio nazionale e internazionale, limitato il numero dei meeting e di conseguenza dei potenziali incontri tra le persone.
Altro discorso per i siti produttivi, dove abbiamo ridotto la quantità di persone presenti, la presenza di personale amministrativo o di supporto alla produzione attraverso una logica di turnazione interna. Abbiamo ridotto e limitato l‘accesso alle aree comuni quali la mensa, punti fumo e aree di pausa. Abbiamo cercato di implementare processi volti a mantenere la distanza tra tutti i dipendenti. 

Le informative sono state importantissime, abbiamo informato costantemente i nostri dipendenti sulla base delle indicazioni legate ai criteri basilari di igiene, e li abbiamo dotati di una serie di dispositivi di protezione ulteriore rispetto a quelli inizialmente previsti.
Per quanto riguarda la forza vendita abbiamo raccomandato loro di lavorare da casa occupandosi principalmente di gestione di attività amministrative, training e soprattutto li abbiamo invitati caldamente a utilizzare la connessione in remoto anche per le relazioni commerciali. Da questo punto di vista ci sono state delle positive sorprese, perché lo spirito di iniziativa e intraprendenza ha portato a introdurre innovazioni nei processi operativi su base quotidiana. Abbiamo tecnici che ormai gestiscono in remoto il supporto alla clientela anche con un discreto successo.

Il personale come sta vivendo queste nuove modalità di lavoro? 

«Chiaramente non è tutto rose e fiori perché lavorare in remoto ha anche i suoi aspetti negativi, che si basano sulla mancanza di socialità e relazione, e di contatto diretto con i dipendenti che si ha nel momento in cui si lavora nello stesso ambiente. Questo è quello che ci viene riportato più di frequente dai nostri colleghi e collaboratori. C’è poi anche un aspetto di gestione della vita quotidiana: forse non siamo così abituati a stare così vicino ai nostri cari quando si lavora, e in alcuni casi c’è un aspetto di gestione della solitudine. Alcuni dipendenti sono single e stanno ormai da diverse settimane a casa da soli.

Stiamo cercando di ovviare a tutto questo tramite delle politiche di engagement, un po’ sperimentali ma che sembrano in qualche modo funzionare. Su base quotidiana per esempio abbiamo un bollettino emesso dal management aziendale che dà aggiornamenti rispetto alle iniziative che si intraprendono e sullo stato di evoluzione del Covid-19.

Abbiamo poi aperto una linea di comunicazione con tutti i supervisori: una volta a settimana abbiamo delle phone call dove li aggiorniamo sullo stato dell’arte e siamo pronti a rispondere alle loro domande.
Abbiamo attivato una help line per tutti i dipendenti, che possono avere in tempo reale le risposte ai loro quesiti; e un blog in cui possono postare le loro domande, i loro commenti e le loro considerazioni. Anche in questo caso ci attiviamo per fornire delle risposte in tempo pressoché reale.

Ultimo, ma non ultimo, abbiamo lavorato molto anche sullo sviluppo del dipendente, predisponendo un piano di training per queste settimane, anche per poter riequipaggiare i nostri colleghi in maniera efficace da essere pronti per la ripartenza.

Un’iniziativa che sembra aver funzionato tantissimo, e che in qualche modo si basa sulla logica del growth mindset, è una riflessione a cui ho invitato tutti i nostri collaboratori su quello che hanno imparato da questa esperienza. Penso che riflettere su queste situazioni, sui momenti di crisi e difficoltà, ci faccia capire quanto siamo resilienti e riusciamo a trovare risorse che poi possiamo mettere in campo in un momento migliore. L’azienda ha reagito molto bene, sono molto orgoglioso di come i miei colleghi e collaboratori stanno affrontando questa sfida».

 

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