Lifeed, la sfida dell’innovazione al servizio della sostenibilità umana

Riccarda Zezza, fondatrice e ceo di Lifeed, intervento ad Agenda 2030
(in foto: Riccarda Zezza, fondatrice e ceo di Lifeed, intervento ad Agenda 2030)

Riccarda Zezza, fondatrice e ceo di Lifeed: "far crescere le persone ha un effetto moltiplicatore, e la tecnologia può essere di grande aiuto"

Lifeed è l’unica piattaforma di apprendimento al mondo che trasforma le transizioni di vita e le attività di cura – come la genitorialità, l’accudimento di una persona anziana, l’attraversamento di una crisi – in opportunità per formare le competenze soft.

La ceo, Riccarda Zezza, è co-autrice del libro “Maam – Maternity as a Master”, e fellow di Ashoka, ngo che seleziona i migliori innovatori sociali del mondo. Zezza è intervenuta ad  Agenda 2030, “Il Futuro al lavoro”, per spiegare l’importanza di investire sul capitale umano, permettendo alle persone di “ricomporre” tutta la ricchezza e complessità peculiare di ogni individuo.

Uscire dagli schemi

«Proviamo a chiederci se l’innovazione aiuta davvero la sostenibilità umana» esordisce Zezza, «Se la nostra capacità d’innovazione sta migliorando la nostra capacità di futuro. È una sfida, perché innovazione e sostenibilità umana non stanno naturalmente insieme. L’innovazione la vediamo sempre come un’accelerazione, qualcosa che permette di aumentare i ricavi e ridurre i consumi.

Dal punto di vista umano, un modo per accelerare è semplificare, trovare schemi. Ma non tutto si può ridurre a uno schema, l’immaginazione ad esempio non ci sta. Qualcosa rimane fuori. E allora si trovano iniziative e soluzioni per provare a riparare, e non a controbilanciare, quel che rimane fuori».

Ricomporre i pezzi

«Un esempio chiaro di quello che sta rimanendo fuori» continua Zezza «è ciò che sta sotto a tutto: l’essere umano. È difficile investire sullo sviluppo dell’essere umano, perché siamo più complessi di qualunque macchina. Allora succede che la nostra complessità la segmentiamo, separiamo dei pezzi. Pensiamo ai social, che ci permettono di mostrare una parte di noi.

Pensiamo al ruolo che indossiamo sul lavoro. Facciamo fatica, ad indossare quel solo ruolo, perché dobbiamo lasciare cose da altre parti di noi. Tutta la nostra tecnologia e innovazione non ce la fa a contenere questa complessità. Quali sono le conseguenze? Io le ho vissute in prima persona 15 anni fa, quando ho avuto due figli.

E ho sperimentato come la maternità fosse una dimensione di complessità aggiuntiva e non prevista, qualcosa che il mondo del lavoro metteva da parte. Da lì è nata la mia idea di pensare che ci si potesse porre in modo diverso».

Il paradosso della separazione

Il problema, sostiene Zezza, è che «la complessità della vita umana, nella nostra evoluzione, non sembra avere posto. C’è ancora bisogno di separare per poi rimettere insieme.

E il più grande paradosso è che quello che noi abbiamo dimostrato in questi dieci anni di scienza è che proprio le relazioni di cura, che ci rendono così complessi e che sembrano così difficili da inserire nell’accelerazione sono le attività che aggiungono competenze. Le competenze le abbiamo, ma le abbiamo in quelle parti di vita che siamo costretti a lasciare fuori.

Quindi facciamo fatica a lasciarle fuori, e poi fatica a portarle dentro.Va dentro. Va da che il sistema è poco sostenibile».

Le relazioni di cura come palestra di competenze

Qualche esempio. «Sappiamo benissimo» continua Zezza «che nel prendersi cura di un anziano genitore si allena la capacità di risolvere problemi complessi, o di gestire le crisi. Sappiamo benissimo che crescere un figlio dà capacità di visione del futuro, di leadership, capacità manageriale senza confini, è ovvio.

Durante la pandemia tutti abbiamo allenato competenze nuove, è stato un fantastico esperimento di congedo collettivo globale condiviso. Finalmente tutti a casa. Ora sappiamo quello che le mamme sapevano da prima: stare a casa non è una vacanza ma allena competenze».

Effetto moltiplicatore

Da queste considerazioni è nata Lifeed: investire sulle persone per tirare fuori le competenze “nascoste”. «Se si fa questo tipo di investimento» spiega la ceo della startup «il risultato è moltiplicatore. Molto di più che con la tecnologia.

Noi possiamo cambiare il modo in cui lavoriamo, in cui viviamo, in cui impariamo. E quello che succede se si lavora sull’essere umano, è che poi ha un impatto su tutto il resto. Non si tratta di accelerare ma di migliorare.

«Il life based learning che permette alle persone di trovare risorse nascoste dai vari ruoli. Noi chiediamo alle persone di elencare “le cose” che sono, da un minimo di 3 ad un massimo di 8, cose che è oggi. Subito facciamo vedere che la coesistenza di più ruoli non è un conflitto.

Quando pensiamo di essere tante cose vediamo come delle torte, con tante fette più piccole. In realtà noi possiamo, ed è scientificamente fondato, vedere questa compresenza di più “cose” come un aumento della superficie totale. Questa rappresentazione è controculturale, va contro il conflitto vita lavoro».

Competenze, sul lavoro ne esprimiamo appena il 25%

Queste competenze sviluppate fuori dalla vita lavorativa hanno un peso preponderante: «oltre il 70% delle capacità delle nostre» dice Zezza «sono nascoste dai ruoli personali. Nel pool complessivo delle capacità che le persone hanno, di solito sul lavoro ne portano 25%, significa che non esprimiamo il rimanente 75%.

Anche i tratti di carattere possono cambiare: posso essere un’amica insicura e conformista e una manager fantasiosa. Una volta imparato a conoscere meglio noi stessi, una volta che sappiamo di avere questi tratti possiamo portarli in altri ruoli. La tecnologia in questo può essere di grande aiuto, può accogliere la nostra complessità con braccia molto più ampie di quanto immaginiamo».

Ma c’è un ma. «Tutto questo non è facile» chiosa Zezza «e ha un costo altissimo. Il costo di spiegare cosa stai facendo e costo di creare un mercato. Innovare il nostro modo di lavorare è difficile, perché riguarda l’essere umano, ma è necessario ed è urgente, non possiamo più andare a piccoli passi, dobbiamo andare a grandi passi. E se non si investe, da questo periodo difficile non usciamo».

 

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