IMPACT2030: un futuro più umano insieme all’AI

La platea di IMPACT2030

Gli speech del pomeriggio hanno fatto scoprire scenari presenti e futuri in cui l’intelligenza artificiale ha il ruolo di nostro principale alleato

Sfide di ogni tipo per restare al passo con una velocità di cambiamento mai vista prima. Tante esperienze concrete e spunti che hanno offerto una prospettiva avanzata e precisa sugli sviluppi dell’AI e della sua integrazione con la vita quotidiana e il mondo del lavoro.

Dopo un apprezzato fit break offerto da Show Club, società di personal training tra Padova e Treviso, la seconda parte della giornata ha proposto interventi di realtà molto diverse tra loro, per dimensioni, riferimenti e obiettivi, che tuttavia sono accomunate dal confronto quotidiano con soluzioni tecnologiche innovative, grazie a cui non solo il business aziendale ma la soddisfazione dei clienti e la stessa qualità della vita dei lavoratori ha ottenuto un concreto miglioramento.  

Una conferma che il ruolo di un evento come IMPACT 2030 e di realtà come Laborability ed H-FARM sia proprio la capacità di proporsi come ponte e luogo di confronto tra tutte le realtà che sono pronte ad abbracciare il cambiamento epocale e rivoluzionario portato dall’intelligenza artificiale.

Radical HR: il cambiamento riguarda soprattutto il mindset

A riprendere il filo del discorso, cercando risposte a domande profonde, è stato Alessandro Rimassa, CEO e Founder di Radical HR, parlando di intelligenze ibride e scenari futuri tra automazione, creatività e valore umano.

Un percorso che punta a moltiplicare l’intelligenza umana con quella artificiale ma deve essere basato su un equilibrio fra automazione e valore delle persone. Anche perché è inevitabile, come mostrano i dati che indicano come attualmente le attività lavorative svolte prevalentemente da tecnologie siano il 22% ma saliranno al 34% nei prossimi cinque anni.

“L’86% delle aziende prevede che le tecnologie di AI trasformeranno il loro business entro il 2030 e l’adozione dell’AI è in rapida crescita, con applicazioni che spaziano in diversi campi, ma troppo spesso senza una vera strategia”, ha spiegato Rimassa, sottolineando come questo non sia un semplice progresso tecnologico ma una vera e propria leva trasformativa. A patto di saperla usare.

“Soprattutto noi HR dobbiamo coltivare un AI mindset, perché non si tratta solo di tecnologia: è una rivoluzione culturale. Quindi bisogna formare le persone con gli strumenti giusti, con percorsi pratici e differenziati per ruoli, masterclass ed esercitazioni, e applicazioni sui casi d’uso aziendali”.

KPMG: la variabile “temperatura” dei modelli AI 

Con Oriana Cantarella, Senior Manager di KPMG, una delle “big four” a livello mondiale della consulenza, l’accento si è spostato su come l’intelligenza artificiale sta cambiando le tecnologie di internal audit e controllo.

Kpmg negli ultimi anni in questo senso è stata decisamente al passo, assumendo 29 mila professionisti della tecnologia AI: 8.900 sviluppatori, 2.600 scienziati e 5.600 ingegneri del dato, sviluppando oltre 600 soluzioni innovative. Un eco-sistema lavorativo ibrido, formato da infrastrutture, software e persone che interagiscono tra loro.

Qual è la differenza fondamentale tra l’AI e uno sviluppo di software tradizionale? È il modello alla base perché l’AI ragiona in maniera probabilistica, quindi per arrivare a una soluzione non fa sempre lo stesso percorso”, ha sottolineato Cantarella, “Quindi quando bisogna integrare l’intelligenza artificiale in azienda vanno considerati questi cinque fattori: l’algoritmo, che è la mente, ed elabora milioni di dati individuando pattern a cui la mente umana arriva con enorme difficoltà. 

Ci sono poi la tecnologia, che è il corpo e supporta le potenzialità dell’algoritmo, e i dati che rappresentano il carburante, e più sono abbondanti e verificati e più danno risultati ottimali. Tutto questo va poi calato nei processi aziendali, che potrebbero migliorare con l’AI, e valutato in base ai rischi. Perché un sistema così potente, se non è controllato e regolato presenta enormi rischi, e quindi va sempre controllata la qualità delle risposte”.

Prendersi cura delle persone nell’era dell’AI: la formula della felicità in azienda secondo Gruppo Vola e Surf the Market

Grazie ad Andrea Bizzotto e Francesco Sordi, CEO rispettivamente di Gruppo Vola e Surf The Market, la discussione si è spostata su un altro tema delicato, ovvero come prendersi cura delle persone nell’era dell’AI e come aumentare la produttività insieme alla felicità dei lavoratori.

Bizzotto è partito citando la celebre antropologa Margaret Mead, che un secolo fa indicò in un femore di un uomo preistorico guarito da una frattura – segno delle cure ricevute – come primo segno di civiltà umana. Sordo ha invece segnalato come in presenza di uno scopo la produttività sale dal 60% all’80% e che un team affiatato produce il 120% del suo valore.

“Per arrivare a questo vanno seguite quattro parole chiave, che sono ascolto, empatia, innovazione e intraprendenza”, ha osservato Sordi, lasciando a Bizzotto il compito di illustrare la formula della felicità in azienda.

“La formula è una moltiplicazione, formata da cinque elementi: retribuzione economica, gestione del tempo, senso di appartenenza, crescita personale e professionale, condivisione di scopo e valori dell’azienda. Essendo una moltiplicazione, se uno dei fattori va a zero, tutto il prodotto scende a zero”, ha rimarcato Bizzotto.

Il valore della Gen Z: l’esempio di Lumina

L’intervento successivo ha permesso di entrare in contatto con le aspettative, la cultura e la logica della Generazione Z, attraverso la voce di Arianna Agostinetto ed Elisa Povolo, Senior Managers di Lumina consulting agency, start-up nata proprio in seno alla H-FARM Business School che si propone come chiave per capire le potenzialità e approcciare il mercato degli Under 30.

Introdotte da Antonella Sannella, CEO di H-FARM College, le giovani manager hanno esposto il modo di concepire vita e lavoro di una generazione “imprenditoriale, ma difficile da integrare”. Anche qui partendo dai dati, piuttosto allarmanti: dalla percentuale di disoccupazione giovanile italiana (22,3% contro il 13% globale), alla mancanza di risparmi in caso di emergenze, che riguarda il 56% della Gen Z, fino alla limitazione dei consumi per il 73% di loro, a causa dell’inflazione.

“In realtà la gran parte di noi ha iniziato a lavorare ancora prima che ci chiedessero il curriculum, perché il 56% della Gen Z porta avanti un’attività parallela, accanto alla sua occupazione, e il 52% fa già lavori freelance, molto spesso con vocazione imprenditoriale”, hanno segnalato Agostinetto e Povolo. Che con il team di Lumina, formato esclusivamente da persone della Gen Z, hanno già portato a termine progetti con soluzioni tecnologiche avanzate ad hoc, rivolte a start-up e giovani imprenditori, ottenendo risultati ottimali in termini di soddisfazione da parte dei clienti, con un rating di 4,8 su 5.

Il cambiamento culturale è in corso: lo racconta Making Science

Gli ultimi tre speech sono tornati a battere sull’urgenza di precorrere i tempi, per non restare tagliati fuori dal mercato, ma anche sulle potenzialità dell’AI nel welfare aziendale e nell’organizzazione delle aziende del futuro. 

Costanza Ghelfi, Chief Product Officer di Making Science, società fondata 9 anni fa e presente in 15 Paesi, specializzata in accelerazione digitale per marketing, data e tecnologia, è partita dalla produttività dei digital designer per arrivare alla trasformazione culturale d’impresa.

“È in atto un cambiamento culturale che ridefinisce ruoli, processi e persone. Le agenzie non stanno solo affrontando una crisi di identità: devono ridefinire cosa sono, cosa offrono e che tipo di persone servono per esserlo”, ha considerato Ghelfi, “L’IA sta automatizzando attività core delle agenzie, il cui vantaggio competitivo non può più basarsi sull’esecuzione. Subiscono molta più pressione economica dai clienti, che si aspettano più risultati, in meno tempo e a minor costo.

Il ritmo incalzante dell’innovazione richiede velocità di adattamento organizzativo, reskilling continuo delle risorse e mentalità sperimentale e non più difensiva. E soprattutto non servono eroi dell’AI, ma team abilitati, con una governance centrale leggera ma chiara, cultura orizzontale e collaborazione intergenerazionale”.

L’AI nel mondo del welfare aziendale: gli sviluppi di Tre Cuori Società Benefit 

Alberto Fraticelli, co-fondatore e direttore di Tre Cuori, società benefit specializzata nel welfare territoriale, ha quindi proposto una riflessione sul come sia fondamentale passare dal “saper fare” al “saper far fare”, grazie all’AI, per evolvere e migliorare i servizi di welfare, sostenibilità e sicurezza sul lavoro.

“Il nostro welfare aziendale si distingue da quello tradizionale, per libertà di scelta dei fornitori, zero commissioni, pacchetti su richiesta, ricaduta locale e riclassificazione ESG, cioè ambientale, sociale e di governance, un customer service eccellente e alta percentuale di conversione del premio di risultato. 

Questo genera una ricaduta positiva sui territori, con la possibilità di alti tassi di spesa”, ha sottolineato Fraticelli, “In tutto questo il contributo dell’AI è decisivo. Il nostro customer service, ad esempio, è un agente conversazionale intelligente, che supporta il nostro customer care con risposte rapide e dettagliate alle domande degli utenti, permettendo di migliorare l’esperienza sia per i nostri collaboratori che per gli utenti, anche nei momenti critici come i picchi di lavoro di fine anno”.

Kopernicana: L’AI chiede un cambio di paradigma anche a livello organizzativo

Per chiudere il cerchio, Francesco Frugiuele, Co-Founder di Kopernicana e ultimo speaker della giornata, ha messo sul piatto un’immagine di grande forza concettuale, che ha colto nel segno impressionando la platea sullo stato dell’arte del tessuto economico italiano, caratterizzato in larga parte da aziende con organizzazioni gerarchiche vecchio stampo.

“La metafora per descrivere quello che sono le nostre aziende nell’era dell’AI è una diligenza trainata da cavalli che corre in una iper autostrada a velocità accelerata. Nessuno di noi usa un’organizzazione così vecchia nella sua esperienza quotidiana. Eppure sono 270 anni che usiamo questa modalità gerarchica superata, sviluppata nell’Inghilterra pre-industriale quando ancora c’era il feudalesimo.

E in Italia questa tensione a cambiare è più forte che altrove. Gli italiani cioè non sono più disposti a lavorare in un modello organizzativo pensato quasi 3 secoli fa. Lo dicono i dati, visto che siamo il terzo paese peggiore in Europa nel coinvolgimento al lavoro, davanti solo a Lussemburgo e Francia. Non è un segnale negativo ma positivo, che evidenzia un bisogno di cambiamento. 

In Kopernicana aiutiamo aziende e micro-aziende a muoverci in questa direzione, a uscire da questo modello gerarchico. Quello che vuole il capo, che è l’unica regola di questo sistema, non è la regola con cui funziona la società civile e che non può funzionare in un sistema misto, intelligenza umana e artificiale. Quindi da un lato dobbiamo rispondere a questa sfida e poi a seguire le dinamiche di un mercato italiano caratterizzato soprattutto da aziende piccole ma in cui non mancano grandi progetti di trasformazione da parte di grandissime aziende”.

 

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