Come usare le informazioni giuste per costruire una strategia di equità retributiva efficace
Entro il 2026 l’Italia dovrà recepire la nuova direttiva europea sulla trasparenza salariale, un obbligo che sta generando nuovi dibattiti e nuove riflessioni nell’ambito delle retribuzioni.
La trasparenza dei compensi, però, non è solamente una questione normativa: è un indicatore vero e proprio della qualità del lavoro.
In questo articolo analizziamo insieme il fenomeno della parità retributiva e capiamo come implementare un approccio data-driven per garantire l’equità retributiva. Lo facciamo anche grazie agli interventi di Emauele Sartori, CEO di HRTool, con cui abbiamo parlato di questi temi in un webinar.
Nonostante nel linguaggio comune si tenda a utilizzare i termini equità e uguaglianza come sinonimi, è importante sottolineare che si tratta di due concetti differenti.
L’idea di equità retributiva non si basa sul garantire a tutti lo stesso stipendio, ma sul “riconoscere una retribuzione giusta a chi svolge lavori comparabili o apporta contributi simili” – come spiega Emanuele Sartori, ceo di HRTools.
La direttiva europea UE 970/2023 fa riferimento all’equità interna per raggiungere giustizia organizzativa, che viene definita come la coerenza di trattamento salariale delle persone che fanno parte della stessa organizzazione. Ma come si può davvero combattere la discriminazione salariale? Solo attraverso una strategia che fa attenzione alle distorsioni soggettive – dovute per esempio al genere, all’età, alle convinzioni religiose o ad altri fattori generalmente discriminanti – e ricerca l’equità.
Per riuscire a fare un’analisi di equità retributiva si utilizzano e misurano due gruppi di dati, vediamo quali e come si analizzano.
Una prima analisi utile riguarda il lavoro di pari valore, misura che si può fare prendendo in esame i livelli contrattuali, e quindi paragonando i membri del personale contrattualmente uguali, ma anche utilizzando il job grading.
Questo permette di valutare l’effettivo ruolo di ogni persona nell’organizzazione, tenendo in considerazione aspetti come quante responsabilità ha in capo, quanto il suo lavoro impatta sulle performance dell’azienda, che tipo di competenze servono per svolgere le sue mansioni. Il secondo gruppo di dati rilevanti riguarda la misurazione della retribuzione, che si compone non soltanto della RAL ma anche delle varie voci accessorie di compensazione, come bonus, premi, benefit e welfare.
Per l’analisi si possono utilizzare i nuovi modelli di AI, a patto però di avere dei dati strutturati e completi. Spesso invece queste informazioni sono frammentate e distribuite in più sistemi aziendali, dal gestionale delle presenze al software che gestisce le buste paga.
Il processo per aggregare le informazioni e implementare una strategia puntuale si articola in tre fasi: la mappatura dei dati rilevanti; la definizione delle movimentazioni, cioè da dove andare a pescare le informazioni da distribuire; la realizzazione.
La direttiva europea sulla trasparenza salariale fa anche riferimento alla necessità di restituire le informazioni raccolte, utilizzando metriche che indicano in modo chiaro e trasparente la situazione in cui versa l’azienda.
Nello specifico, le misurazioni richieste sono la media e la mediana retributiva per genere, i quartili o ancora analisi per categoria professionale.
La tecnologia può quindi fare la differenza non soltanto nella misurazione, ma anche per quanto riguarda l’applicazione trasparente, tracciabile e uniforme dei diversi criteri oggettivi individuati e la loro comunicazione esterna.
Ricordiamo infatti che la normativa ci dice anche che le aziende hanno un obbligo di trasparenza nei sistemi di retribuzione, cioè devono avere una compensation policy chiara, pubblica e condivisibile. Devono essere espliciti i parametri con cui si definiscono le fasce retributive per i vari ruoli, ma anche i criteri con cui si gestiscono eventuali aumenti salariali.
Le aziende che già applicavano la parità retributiva devono ora preoccuparsi non solo delle prassi, ma anche di comunicarle.
In fase di salary review, non possiamo non applicare una meritocrazia retributiva: è importante infatti tener conto delle performance lavorative delle singole persone e saperle valorizzare. L’innovazione in campo HR permette di semplificare questa valutazione: grazie a software e tool aggiornati possiamo collocare il personale in una merit matrix, che restituisce la posizione retributiva attuale e quella ideale, permettendo più facilmente a chi si occupa di HR di decidere in che modo intervenire.
Si tratta di un procedimento di performance manager da non confondere con l’MBO, Management by Objectives: in questo secondo caso infatti ci troviamo di fronte a un sistema di incentivo diretto basato sugli obiettivi raggiunti, che presenta sì un ritorno economico immediato, ma anche dei rischi: come segnala Sartori, ceo HRTools, infatti, “legare troppo direttamente la valutazione della performance al premio economico spesso porta a valutazioni ‘gonfiate’, meno utili al miglioramento reale”.
Possiamo far lavorare questi due sistemi insieme per raggiungere risultati diversi: un premio diretto può essere stimolante e portare crescita, mentre l’innovazione HR verso la meritocrazia retributiva può portare le aziende a colmare il pay gap tra le persone, verso una maggiore equità.
Come abbiamo visto, il performance management è uno strumento strategico per le HR, allo stesso tempo però può essere un elemento critico. Perché un modello di performance management abbia successo non deve solo essere ben progettato, ma anche applicato in modo personalizzato su ogni azienda, a partire dagli obiettivi.
Ecco dunque che, per esempio, in un’azienda produttiva potrà essere più utile applicare una valutazione delle competenze per capire come distribuire le mansioni tra il personale, ma anche come creare dei team di lavoro. In un’impresa di servizi, invece, potrebbe essere più efficace lavorare per obiettivi e valutare in questo senso. In questo caso potrebbe fare la differenza anche uno strumento che faciliti l’autovalutazione e il confronto, dando spazio anche al feedback del personale.
Per capire come applicare al meglio il performance management, insomma, occorre innanzitutto chiarire che risultati dovrà portare. Solo in questo modo diventerà uno strumento di equità retributiva.
Questo articolo sulla parità retributiva fa parte dello speciale che abbiamo dedicato a digital HR e nuove tecnologie. Leggi gli altri contenuti di approfondimento nel nostro sito.