Usare l’intelligenza emotiva per costruire un nuovo rapporto con il lavoro: padronanza di sé e autocontrollo per gestire al meglio i team
L’intelligenza emotiva è una delle soft skills più importanti da coltivare e di cui prendersi cura, se si vuole avere un buon rapporto con i colleghi e vivere al meglio il proprio lavoro. Ma non solo: sviluppare l’intelligenza emotiva è fondamentale per i leader che, prima di tutto, devono far riferimento a questa competenza nel rapportarsi alle diverse situazioni in cui si trovano ogni giorno. Al tema ha dedicato un libro Daniel Goleman, consulente e collaboratore scientifico del New York Times, dal titolo: “Lavorare con intelligenza emotiva”.
Saper gestire le proprie emozioni nelle varie situazioni a cui la vita ci mette di fronte, può essere una qualità determinante per raggiungere risultati importanti sia nel lavoro, che nella sfera personale. Nel libro di Goleman viene evidenziata la correlazione tra stress e disfunzioni dei centri esecutivi del cervello. In pratica, gli studi di neuroscienze hanno dimostrato come l’area prefrontale, sede della “memoria di lavoro”, sia messa a dura prova dall’amigdala, la struttura cerebrale che gioca un ruolo chiave nelle emergenze emotive.
I collegamenti nervosi tra l’area prefrontale e l’amigdala funzionano come un sistema d’allarme che, nel corso dei secoli, ha avuto un enorme valore ai fini della sopravvivenza, nel corso dell’evoluzione umana. L’amigdala può essere considerata come l’archivio della memoria emotiva del cervello: una sentinella che seleziona tutte le informazioni che arrivano dall’esterno, e le cataloga come minacce o possibili trionfi, confrontandole con le registrazioni delle nostre esperienze passate.
La sfida dell’uomo di oggi è quella di saper governare l’attività di questo centro cerebrale: se, nel passato più lontano, l’amigdala ci ha consentito la salvezza da pericoli oggettivi, oggi può rivelarsi inadeguata a gestire i problemi della vita lavorativa moderna e, anzi, può minare la nostra capacità di reazione.
L’esempio più calzante può essere costituito da un’accesa discussione nel lavoro. In una condizione preesistente di stress o agitazione, qualsiasi dialogo che ci veda ingaggiati può degenerare, e diventare per noi ingestibile. La ragione per cui siamo portati, in tal caso, a superare i limiti, è di natura biochimica: l’attivazione dell’amigdala favorisce la produzione di ormoni dello stress, in particolare il cortisolo.
L’impatto del cortisolo sulle funzioni cerebrali è quello di far entrare in azione la strategia di sopravvivenza primitiva: si potenziano i sensi e si smorza l’intelletto, bloccando i lobi prefrontali, e quindi la “memoria di lavoro”. All’improvviso, i nostri centri esecutivi non funzionano più e noi siamo in balìa delle nostre emozioni.
Avere un approccio ottimista ed elastico alla vita, ed essere orientati all’azione, fa sì che venga inibito il disagio quando l’evento stressante è ancora in corso: in altre parole, le persone che hanno un atteggiamento più costruttivo e resiliente rispetto ai problemi, sono quelle che riescono a interrompere il collegamento tra amigdala e area prefrontale.
Esse possiedono le competenze della padronanza di sé e del self-control sotto stress. La capacità dell’area prefrontale di inibire il messaggio proveniente dall’amigdala preserva la chiarezza mentale, e mantiene le nostre azioni su una rotta costante.
Nel suo libro Goleman evidenzia un concetto fondamentale: l’autocontrollo emotivo non equivale a soffocare e reprimere le proprie emozioni, la spontaneità. La competenza implica, piuttosto, la possibilità di scegliere il modo migliore e più efficace con cui esprimere ciò che sentiamo. Nella vita privata e nel lavoro.
La padronanza emotiva significa anche saper evocare intenzionalmente una determinata emozione. In tantissimi ambiti lavorativi, questa competenza ha un peso importante in termini di risultato: nel settore del commercio e dei servizi, l’esortazione ad essere amichevoli con i clienti è funzionale alla produttività, e un meccanismo simile è quello che vede protagonisti i medici, nel momento in cui devono dare una brutta notizia ai pazienti o alle loro famiglie. Si immedesimano nel loro interlocutore prima di procedere nel dialogo. Un vero e proprio ‘lavoro emozionale’, che richiede energie fisiche e mentali.
Un fattore critico nel determinare se il lavoro emozionale sia o meno gravoso è la misura in cui la persona coinvolta si identifica nel proprio ruolo. Maggiormente la persona si identifica totalmente con il proprio lavoro, e con le emozioni che ne fanno parte, meno difficile sarà portare a termine le proprie attività.
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