Ricerca lavoro: gli italiani si affidano al passaparola

img 1: “Briefing di lavoro”
(foto Shutterstock)

I canali informali sono ancora troppo usati nella ricerca di occupazione. Un’abitudine che ha conseguenze non positive

Nonostante si utilizzino intensamente smartphone e computer per frequentare assiduamente i tanti social network a disposizione, gli italiani continuano a preferire il passaparola, o comunque i canali informali, nella ricerca di lavoro.

È quello che è emerso da un’analisi del giornale online lavoce.info, che ha passato in rassegna le principali modalità utilizzate dalla popolazione italiana al momento di cercare lavoro.

Piattaforme come LinkedIn vengono prese in considerazione ancora poco nel proporsi per una nuova occupazione, e ancora meno avviene per le piattaforme di recruiting delle aziende.

Questo ha conseguenze negative, perché frena la capacità di selezione del mercato e porta a perdite di produttività.

Secondo un’indagine di Inapp, negli ultimi dieci anni 4,7 milioni di persone hanno trovato un’occupazione fuori dal mercato del lavoro tradizionale. La ricerca di lavoro avviene senza intenzioni specifiche, rivolgendosi a conoscenti e amici, per la maggior parte delle volte senza utilizzare nemmeno il proprio CV.

Un passaparola che non fa bene al mondo del lavoro

Rispetto agli altri Paesi dell’Unione europea, l’Italia ha una modalità di ricerca lavoro che potrebbe essere definita antiquata e poco funzionale.

Perché il processo che porta a trovare un’occupazione sia fluido, e il risultato sia efficace, è necessario che la fase di ricerca (searching) e di abbinamento (matching) siano rapide e soddisfacenti, in linea con il profilo della persona che sta cercando lavoro.

Il passaparola può essere utile nella fase di emergenza, quando non si ha un’occupazione e si ha la necessità di trovare lavoro velocemente, ma a lungo andare rischia di non rispondere alle aspettative della persona, e nemmeno dell’azienda.

Domanda e offerta non si incontrano

Una ricerca di Ipsos sull’occupazione mette in luce una differenza tra ciò che vorrebbero le persone e ciò di cui hanno bisogno le aziende. La ricerca ha coinvolto un campione di 700 persone, tra i 18 e i 40 anni, in cerca di un lavoro, e 200 imprese in cerca di professionisti.

Si scopre così che le imprese cercano, in prevalenza, negli ambiti della produzione (37%) e dell’IT (25%), mentre le persone vorrebbero lavorare nei settori marketing, vendite, commerciale sono pari al 15% e il 12% nell’assistenza clienti.

Per lavoratori e imprese è comune il problema della molteplicità dei canali in cui cercare: i candidati si rivolgono sporadicamente a siti specializzati, utilizzano LinkedIn senza conoscerne le potenzialità, affidandosi più volentieri al passaparola e cercando nei siti aziendali.

 Ancora oggi, le stesse imprese ricorrono al passaparola come primo canale (35%), seguito da LinkedIn (31%) e dai siti specializzati (30%).

I canali informali sono i più gettonati

Il canale che ha acquisito più importanza è l’autocandidatura, passato dal 13% del 2011 al 18%, grazie al ruolo crescente dei social.

I dati mostrano un maggior ricorso agli strumenti di ricerca digitali, che restano comunque in una sfera informale: si è passati dal 25% degli occupati che nel 2000 dichiaravano di aver fatto ricorso a Internet durante la fase di ricerca di lavoro, al 50% del 2010, fino al 75% del 2021.

Anche in questo caso si evidenzia l’assenza di intermediazioni efficaci e professionali, con una dose di informalità nel mercato del lavoro che andrebbe gestita e governata.

L’informalità nella ricerca di un’occupazione è legata al grado di formazione delle persone: i canali formali sono utilizzati maggiormente da chi ha un’istruzione elevata, nelle imprese di più grandi dimensioni in termini di addetti, e conducono a retribuzioni superiori. I canali informali sono utilizzati prevalentemente dalle imprese più piccole, e portano a livelli retributivi mediamente inferiori.

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