Smart working, si produce di più ma si rischia di vivere peggio

Smart working - si produce di più ma si rischia di vivere peggio
(foto Shutterstock)

Si moltiplicano gli studi sul lavoro da remoto: comodo ed efficace, ha tuttavia importanti ripercussioni su socialità e salute

In America, Twitter lo ha già annunciato: i dipendenti potrebbero non tornare mai più in ufficio. E molte altre aziende iniziano a constatare i benefici del lavoro da casa, più economico per l’imprenditore e più flessibile per i dipendenti. Molti lo apprezzano, ed anzi lo vedono come il motivo che li porta a scegliere un lavoro piuttosto che un altro. Secondo un recente sondaggio Swg, infatti, “flessibilità” è proprio la voce che persuade e conquista quattro lavoratori su cinque. Quanto all’home working totale, tuttavia, vanno emergendo luci ed ombre che spingono ad interrogarsi sul futuro. 

Il banco di prova

L’occasione della pandemia è stata il banco di prova per il mondo intero: se infatti sono ormai relativamente diffuse formule soft, con la possibilità di lavorare da casa un giorno a settimana, negli ultimi mesi di quest’anno interi uffici sono rimasti chiusi a tempo indeterminato, con i lavoratori costretti a svolgere le proprie mansioni interamente da casa. L’esperimento, secondo un’indagine di Fpa (società del gruppo Digital360) è stato particolarmente apprezzato dai dipendenti pubblici: il campione è di oltre 4mila persone e il 94% di loro ha espresso un parere complessivamente positivo.

Sale la produttività, scendono i costi

Meno di recente, Nicholas Bloom dell’università di Stanford aveva condotto uno studio sull’home working in Ctrip, colosso cinese dei call-center. Correva l’anno 2016 e la società aveva messo in regime di smart working, su base volontaria, circa 500 dei mille lavoratori della sede di Shanghai, per nove mesi. La ricerca aveva evidenziato, per quanto riguarda il lavoro da remoto, un incremento della produttività del 13% ed un risparmio per l’azienda di 2mila dollari per ciascun impiegato. I dipendenti, dal canto loro, apprezzavano il tempo risparmiato nel tragitto casa-ufficio, ed anche la possibilità di un miglior bilanciamento con la vita privata. 

Danni per la salute e la socialità

Ma non è tutto oro quel che luccica, e molti lavoratori lo stanno scoprendo sulla loro pelle: alla fine dei nove mesi, dei 500 dipendenti selezionati in Ctrp, due terzi scelsero di tornare in ufficio. Il primo motivo era la mancanza di socialità, che evidentemente in molti casi aveva superato la comodità di potersi risparmiare il traffico e la frenesia della metropoli. In più, il presupposto dello studio di Stanford, era che i dipendenti disponessero di una stanza da cui poter lavorare serenamente. Cosa che ovviamente è mancata e continuerebbe a mancare alla maggior parte dei lavoratori italiani. 

Ai danni psicologici dovuti all’isolamento forzato, poi, potrebbero sommarsi a lungo andare quelli fisici dovuti all’assoluta sedentarietà. Strappa un sorriso, ma amaro, il ritratto computerizzato di Susan, reduce da 25 anni di lavoro da remoto. L’immagine è stata realizzata da una piattaforma inglese, DirectlyApply, e raffigura una donna sovrappeso, ingobbita, con occhiaie profonde e pure un po’ di calvizie. Così, concludono alcuni esperti, potrebbe ridurci il lavoro da remoto, che rischia di non essere agile per niente. Ed è un allarme da non sottovalutare.

 

 

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