Tra i lavoratori stranieri diminuiscono i dipendenti, ma crescono gli imprenditori. Gli immigrati sono determinanti in molti settori
L’emergenza sanitaria ha colpito di più i lavoratori stranieri: dei 456 mila posti di lavoro persi nel 2020, un terzo è rappresentato dagli stranieri. Tuttavia, il report sull’economia dell’immigrazione realizzato dalla Fondazione Leone Moressa, evidenzia come il lavoro degli stranieri rappresenti il 9% del Pil, e sia determinante in diversi comparti.
Rispetto all’inizio degli anni 2000, la popolazione straniera residente in Italia è aumentata dell’8,5%: erano 1,34 milioni nel 2002, e oggi sono 5 milioni. Ma la popolazione straniera continua a crescere per i nuovi nati: negli ultimi 10 anni, infatti, i permessi di soggiorno sono calati dell’83%, con un crollo di quelli per lavoro, passando dai 600 mila del 2002, ai 106 mila del 2020.
Mentre, fino al 2010, si registravano oltre 500 mila nuovi permessi di soggiorno ogni anno, negli ultimi anni si è registrato un calo drastico. Dei 106 mila permessi del 2020, la maggior parte è per motivi familiari (58,9%), mentre quelli per lavoro sono appena 10 mila (meno del 10% del totale).
Gli occupati stranieri presenti in Italia sono 2,35 milioni e, per la prima volta, il tasso di occupazione degli stranieri (- 6,4%) è più basso di quello degli italiani (-1,4%). Dei 456 mila posti di lavoro andati perduti durante il Covid-19, il 35% è rappresentato da lavoratori stranieri che, comunque, producono un valore aggiunto pari a 134,4 miliardi di euro, ovvero il 9% del Pil italiano. I settori in cui questo è più marcato sono l’agricoltura (17,9) e l’edilizia (17,6).
Gli imprenditori stranieri superano le 740 mila unità, rappresentano il 9,8% dell’imprenditoria nazionale, e continuano a crescere (+2,3%). E tra le imprese in difficoltà a causa dell’emergenza sanitaria, non bisogna dimenticare che una componente significativa, per la precisione una su dieci, è rappresentata dagli imprenditori immigrati.
I più numerosi sono quelli cinesi, cresciuti del 52,4% negli ultimi 10 anni. La Cina, dunque, si conferma il primo paese (75.542), seguita da Romania e Marocco, entrambe con circa 70 mila imprenditori. Sommando queste tre nazionalità si ottiene il 30% di tutti gli imprenditori nati all’estero.
Per ciò che riguarda la suddivisione in base al settore di attività, un terzo degli imprenditori di origine immigrata opera nel commercio (33,4%). Seguono i servizi (23,1%) e le costruzioni (21,0%).
La prima regione per numero di imprenditori stranieri è la Lombardia, con oltre 150 mila unità (oltre un quinto del totale nazionale). In questo caso, la componente immigrata rappresenta l’11,3% dell’imprenditoria complessiva. La seconda è il Lazio, con oltre 86 mila imprenditori, seguono poi tre regioni con oltre 60 mila imprenditori stranieri: Toscana, Emilia-Romagna e Veneto.
Le imprese condotte, prevalentemente, da imprenditori immigrati sono 550 mila, il 10,7% del totale. Tra queste, il 95,4% è gestita al 100% da imprenditori nati all’estero, segnale di un’interazione ancora debole tra imprenditori italiani e stranieri.
I contribuenti stranieri in Italia sono 2,3 milioni, e nel 2020 hanno dichiarato redditi per 30,3 miliardi e versato Irpef per 4 miliardi. Sommando le altre voci di entrata per le casse pubbliche, si ottiene un valore di 28,1 miliardi. Dall’altro lato, si stima un impatto per la spesa pubblica di 27,5 miliardi. Il saldo, dunque, è positivo (+600 milioni). Gli stranieri sono giovani e incidono poco su pensioni e sanità, principali voci della spesa pubblica.
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