Di fronte all’incertezza del presente, le nuove generazioni sposano la filosofia del “si vive una volta sola”. E accettano di buon grado la precarietà, a patto che sia soddisfacente
Si chiama “yolo” economy, dove l’acronimo sta per “you only live once”: in altre parole, si vive una volta sola. E proprio per questo, la vita va vissuta senza rimpianti. Il concetto sta prendendo piede soprattutto tra le giovani generazioni, quelle nate fra gli anni ‘80 e ‘90, che hanno gradualmente iniziato a sposare un ideale di leggerezza e di serenità personale. Questo, naturalmente, si applica anche all’ambiente lavorativo: il sogno del posto di lavoro fisso, ad esempio, è stato sostituito da una soddisfacente precarietà.
Il tema fa presa soprattutto fra Millennials e Gen-Z (nati dal 1981 in poi), che hanno vissuto in modo più drammatico gli effetti prima della grande recessione e ora della pandemia da Covid-19. Hanno faticato più dei propri genitori per entrare nel mondo del lavoro, dove ad accoglierli hanno trovato contratti precari e stipendi ben più bassi rispetto al passato. In più non avendo indipendenza economica hanno posticipato molti progetti personali, come il momento di uscire di casa e di costruire una famiglia. E così si sono a poco a poco creati una nuova prospettiva, che il New York Times ha definito “yolo economy”. L’espressione è stata resa popolare dal rapper canadese Drake, che si sta facendo conoscere ed apprezzare anche tra i giovani italiani.
Il processo era già in atto da tempo, ma sicuramente la pandemia ha dato un’ulteriore spinta propulsiva a questo fenomeno. Con lo smart working, infatti, molti hanno scoperto la comodità del lavoro flessibile e non sono affatto convinti di voler tornare indietro. Secondo i dati dell’Osservatorio “Smart WorkingÈ una nuova modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, introdotta dalla l. 81/2017 e caratterizzata dall’assenza di precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro per il dipendente. More: il punto di vista di Gen–Z e Millennials” presentato dal business & community builder OneDay, infatti, per i giovani l’ufficio rimane un importante punto di riferimento, ma il 60% considera la flessibilità un presupposto ormai irrinunciabile. E se questo significa dire addio al contratto di assunzione, ben venga.
Gli studi sul tema, infatti, dimostrano non solo che nuove generazioni tendono a cambiare lavoro con una buona frequenza, ma anche che hanno imparato ad affrontare positivamente il cambiamento. Secondo un’indagine dell’agenzia californiana di HR Robert Half, negli Stati Uniti questa abitudine coinvolge il 64% dei lavoratori. Una categoria per cui è stata coniata la definizione di “job hoppers”. A fare job hopping, cioè saltare da un ufficio all’altro, come già detto, sono soprattutto i Millennials: l’agenzia Future Workplace ne ha intervistati circa 1300 fra impiegati e manager, scoprendo che il 99% di loro pensa di cambiare lavoro ogni tre anni. Nel corso di un’intera carriera, questo significa che potrebbero arrivare a cambiare una ventina di impieghi diversi. Una varietà che può trasformarsi in motivo di ansia, ma anche di grande ricchezza ed esperienza. E i giovani, nel dubbio, pensano “yolo”.
Leggi anche: