Si chiama child penalty, espressione che definisce gli effetti della maternità sulla carriera lavorativa delle donne. Gli economisti Alessandra Casarico e Salvatore Lattanzio hanno stimato il peso negli anni di questo gap
A quindici anni dalla maternità, i salari lordi annuali delle madri sono di 5.700 euro inferiori a quelli delle donne senza figli: vale a dire che, a parità di punto di partenza, nel tempo lo stipendio di una mamma si abbassa del 53%, tra aumenti mancati e orari ridotti.
Alessandra Casarico e Salvatore Lattanzio, rispettivamente docente di Scienza delle Finanze alla Bocconi e dottorando in Economia a Cambridge, hanno provato a stimare (su lavoce.info) quanto incide la nascita di un figlio sulla vita lavorativa di una donna. Basandosi su dati Inps, hanno preso a campione due gruppi di donne comparabili dal punto di vista della formazione e della carriera. Poi hanno confrontato, nel corso di 15 anni, come cambia la situazione per il gruppo delle donne che diventano madri. Nell’analisi non entrano le donne che lasciano il lavoro per la famiglia (una quota tutt’altro che trascurabile) visto che nel loro caso non ci sarebbe uno stipendio da poter confrontare.
Immaginando il percorso lavorativo di queste donne come una traiettoria, e tracciandola all’interno di una serie di grafici, gli studiosi hanno messo in luce come gli effetti della maternità siano evidenti «non solo nel breve periodo, ma anche a diversi anni di distanza dalla nascita del figlio. Uno “shock” da cui le donne non si riprendono». In particolare: «a quindici anni dalla maternità, i salari lordi annuali delle madri sono di 5.700 euro inferiori a quelli delle donne senza figli rispetto al periodo antecedente la nascita (ossia, i loro salari sono inferiori del 53%). I salari settimanali sono di 29 euro inferiori (6% in meno rispetto alle donne senza figli), le settimane lavorate in meno sono circa 11 all’anno e la percentuale di donne con figli con contratti part-time è quasi tripla rispetto a quelle senza figli». Questa differenza, così evidente e profonda tra le lavoratrici donne, è invece del tutto impercettibile tra gli uomini. In altre parole, la penalità colpisce le madri ma non i padri.
Sul fenomeno, suggeriscono i due economisti, pesano certamente le consapevoli scelte individuali, ma sono determinanti anche gli stereotipi, le norme sociali, le difficoltà di conciliazione casa-lavoro e il modo di agire delle aziende, «che non riservano alle mamme le stesse opportunità di lavoro e carriera disponibili per i papà».
L’emergenza Covid-19 ha reso ancora più evidenti le difficoltà di conciliare famiglia e lavoro. «La ministra della Famiglia, Elena Bonetti» concludono gli autori dell’indagine «ha annunciato un cambio di passo con il cosiddetto “Family act”, che dovrebbe anche dare avvio all’assegno unico per le famiglie. Ora, l’emergenza coronavirus e la chiusura delle scuole toccano anche il nervo dell’organizzazione dei ritmi di vita lavorativa e di cura. […] Ma, oltre l’emergenza, l’Italia ha bisogno di un cambio di passo e di un cambio di cultura che faccia smettere di pensare che la maternità e le sue conseguenze siano “roba da donne”. I meccanismi che guidano la child penalty sono molteplici e le cure non scontate»
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